Primo Conti e l’arte italiana del Novecento


Con la direzione artistica dello storico dell’arte Roberto Cresti il Museo di Palazzo Ricci a Macerata ha avviato una rilettura critica di artisti, movimenti e avanguardie del XX secolo. Si tratta di una sorta di viaggio ideale nell’arte italiana del Novecento, iniziato lo scorso dicembre con un rinnovato percorso espositivo, in cui sono state inserite opere significative del periodo, che da tempo erano custodite nei depositi e quindi non fruibili dai visitatori. Tra gli artisti ora “recuperati” e valorizzati figura il pittore Primo Conti (Firenze 1900 – Fiesole 1988), già oggetto di una mostra temporanea promossa dalla Fondazione Carima nell’estate del 2022 e oggi presente nell’esposizione permanente di Palazzo Ricci con ben quattro opere: “Giotto e Cimabue” (1923), “Il ratto delle Sabine” (1925), “Corse al galoppo” (1927) e “Nudo seduto” (1941).

Nell’opera di riscoperta dell’artista toscano, la Fondazione Carima non è però sola. In un del tutto casuale “gioco di sponda” si inserisce, infatti, un libro, edito a Macerata dalla Eum (casa editrice dell’università) con il patrocinio della Fondazione Primo Conti di Fiesole, in cui è per la prima volta pubblicato un nutrito corpus di lettere che durante il secolo scorso si sono scambiati il pittore Primo Conti e il critico letterario, poeta, nonché drammaturgo e regista teatrale Corrado Pavolini (Firenze 1898 – Cortona 1980). 

L’epistolario è stato presentato presso la Biblioteca statale di Macerata nel corso di uno dei periodici “Colloqui Eum”, moderato dalla professoressa Simona Antolini, presidente della casa editrice, cui hanno preso parte i due curatori del volume: Costanza Geddes da Filicaia e Marcello Verdenelli, entrambi docenti di letteratura italiana presso l’ateneo maceratese. 

Nelle oltre cinquecento pagine del libro si possono leggere ben 240 lettere di un più vasto epistolario cui Conti e Pavolini hanno dato vita a partire dal 1917, quando entrambi non erano ancora ventenni. Pur presenti alcune lettere del secondo dopoguerra, l’ampia selezione pubblicata si concentra sugli anni Venti e parte degli anni Trenta, due decenni in cui i due autori “cercano reciproco appoggio per i loro progetti” e in cui il loro fecondo rapporto epistolare “palesa un’alta valenza letteraria e culturale con, sullo sfondo, uno scenario storico molto complesso”. Sono lettere in cui Conti e Pavolini esprimono reciprocamente inquietudini, sogni e delusioni, il tutto sullo sfondo dell’atmosfera culturale del tempo. 

Il titolo scelto dai curatori per il libro, “Demetrio e l’Oste Burlone”, è quello che lo stesso Primo Conti avrebbe desiderato se l’epistolario fosse stato pubblicato in vita. In una lettera indirizzata a Pavolini il 26 agosto 1920, infatti, egli scriveva: “…se riusciremo a mettere su questa nostra capanna tipografica, vorrei pubblicarvi un po’ del nostro epistolario migliore, sotto il titolo di ‘Demetrio e l’Oste Burlone’….”. Titolo ispirato da due dipinti realizzati da Conti l’anno prima.

La lettura di queste lettere, accompagnata da una visita ai dipinti esposti, offre una comprensione ancora maggiore non solo delle opere di Primo Conti, ma dell’intera arte del Novecento, che a Macerata è ampiamente documentata e custodita, sia nei Musei civici di Palazzo Buonaccorsi, sia soprattutto nel Museo di Palazzo Ricci.  

© Alessandro Feliziani /QN Il Resto del Carlino

Nella foto: Primo Conti e Corrado Pavolini in una foto del 1919 pubblicata sulla copertina del libro

(articolo pubblicato domenica 3 marzo 2024 su Il Resto del Carlino, edizione Macerata)

 





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