2 dicembre 1973, era una domenica e l'Italia rimase a piedi.

Una foto di domenica 2 dicembre 1973. I pedoni sono padroni della strada. 

© Non fu un “lockdown” come lo conosciamo ora in piena crisi pandemica, ma anche allora quel “blocco” dovuto alla decisione del governo di imporre restrizioni alla libera circolazione fu battezzato con una parola inglese, “austerity”. Chi non è più abbastanza giovane lo ricorderà sicuramente. Bisogna tornare con la memoria indietro di quarantasette anni, al 1973. Allora, per fortuna, non c’era alcuna emergenza sanitaria e si poteva girare liberamente per città e paesi, ma lo si poteva fare a piedi o in bicicletta e perché no, come era stato fatto per secoli, a cavallo. 

L’improvvisa e drastica misura d’austerità imposta a partire dal 2 dicembre 1973, ma limitata solo alla domenica o altri giorni festivi, fu decisa dal governo per far fronte alla crisi energetica. Una crisi scoppiata in quell’autunno a seguito del forte e repentino rincaro del prezzo del petrolio deciso dai paesi arabi, anche come conseguenza di alcuni fattori politico-economici internazionali.

Gli italiani costretti a lasciare l’auto in garage presero quel divieto con la dovuta rassegnazione e vi si adeguarono in modo disciplinato. I telegiornali dell’epoca mostrarono immagini domenicali in un certo senso “goliardiche”. Non c’era ovviamente alcun divieto di assembramento, anzi. In molte vie e piazze si giocava pure a pallone. La gente accolse il divieto facendo buon viso a cattiva sorte e manifestando il naturale disagio secondo il famoso proverbio “mal comune mezzo gaudio”. Tant’è che il 3 dicembre nella pagina di cronaca provinciale del Resto del Carlino si poteva leggere questo titolo: “Più allegria senza l’auto”. Quella prima domenica di austerità fu dunque una giornata particolarmente festosa e quel clima di allegra condivisione degli spazi cittadini si ripeté più o meno uguale nelle domeniche successive.

Tra l’austerità a causa della crisi energetica del 1973 e il confinamento dovuto alla pandemia di Covid-19 del 2020 ci sono molte similitudini per quanto concerne le polemiche scaturite dai relativi provvedimenti. In particolare per quanto riguarda le attività commerciali. Tutti i negozi furono obbligati a chiudere la sera un’ora prima. Si trattava di una disposizione volta a far risparmiare energia elettrica, ma sorsero dispute tra i diversi generi di attività. I commercianti lamentarono il mancato rispetto dell’orario di chiusura da parte delle botteghe artigiane. Barbieri e parrucchieri furono accusati di lavorare fino a tardi la sera del sabato. I tabaccai denunciarono una sorta di concorrenza sleale da parte dei gestori di quei bar (esentati dall’obbligo di chiudere un’ora prima) che erano autorizzati a vendere anche le sigarette. Ma gli stessi baristi non mancarono di protestare. Insieme ai ristoratori furono gli esercenti che più di altri si lamentarono del divieto di circolazione, poiché nei giorni festivi videro calare notevolmente i clienti e quindi vistosamente anche gli affari.

A differenza della situazione attuale, i più “felici” per le restrizioni allora in atto furono i gestori dei cinema. Benché costretti, infatti, ad annullare l’ultimo spettacolo della sera, videro notevolmente aumentare il numero degli spettatori durante le proiezioni pomeridiane.

Quello che invece colpì indistintamente tutti fu l’aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi e, nel primo periodo, anche una diffusa mancanza dei generi di prima necessità. Lo sciopero degli autotrasportatori, infatti, impedì per diversi giorni il rifornimento dei negozi di alimentari e dei distributori di benzina, costretti ad adottare una sorta di razionamento. Il rischio di mancanza di energia elettrica provocò anche un’impennata del prezzo della legna da ardere e l’accaparramento delle candele.

Le diverse restrizioni durarono per tutta la stagione invernale, poi man mano furono introdotte delle deroghe. La più rilevante fu l’introduzione, a partire da domenica 10 marzo 1974, del criterio delle targhe alterne. Una domenica potevano circolare le auto con il numero di targa pari e la domenica seguente quelle con numero di targa dispari. Fu così, alternativamente, fino al 26 maggio. Poi dalla domenica successiva, che cadeva il 2 giugno, Festa della Repubblica, il governo – che nel frattempo era cambiato, benché Mariano Rumor (Dc) fosse succeduto a sé stesso quale presidente del Consiglio dei ministri – eliminò ogni limitazione. 

Pur con le dovute differenze sul versante dei presupposti, per quanto concerne il progressivo dilatare delle restrizioni in quella primavera-estate del 1974 si verificò una condizione simile a quella dell’inizio della stagione estiva 2020. Oggi invece, a differenza di allora ci ritroviamo di nuovo in una pericolosa e drammatica emergenza, senza sapere come e quando finirà. 

(Articolo scritto per il settimanale Orizzonti della Marca, pubblicato sul n. 44 del 21 novembre 2020)

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