La gara per la qualità della vita
Da anni sembra di vivere in una continua competizione: le università migliori, gli ospedali più efficienti, le aree con il maggior numero di giornate di sole e quelle invece più piovose, le città più verdi e quelle con l’aria più respirabile, le più virtuose nel consumo di acqua potabile o nella produzione di rifiuti, quelle con i redditi più elevati, le più manifatturiere o più turistiche, quelle dove si legge di più e chi più ne ha più ne metta. Tutto fa classifica, con città, province e regioni che salgono sul podio ed altre che sprofondano nella graduatoria.
Il fenomeno di classificare le diverse comunità territoriali prese avvio più di trent’anni fa sulla spinta di un progetto di un noto quotidiano economico-finanziario, che dal 1990 continua a stilare la più famosa delle classifiche generaliste, quella che puntualmente nel mese di dicembre di ogni anno ci offre il responso sulla “Qualità della vita” nelle 107 province italiane. In seguito è nata una seconda classifica del tutto corrispondente, anche nel nome, e in anni più recenti – pur se con un taglio diverso – sono arrivate altre graduatorie simili. Di una di queste, quella sul “BenVivere”, ne abbiamo parlato recentemente proprio qui su Orizzonti (n. 43 del 18 novembre scorso).
Sta di fatto che a queste classifiche, frutto della elaborazione di una elevata quantità di indici demografici, economici, relativi ai servizi e ai consumi, da quelli alimentari a quelli culturali, se ne affiancano molte altre a carattere settoriale (ambiente, istruzione, sanità, presenze turistiche, produzione industriale, commercio, tempo libero), che nel corso dell’anno vengono diffuse da diversi istituti di ricerca, alcuni di consolidata esperienza.
Tale espansione del fenomeno ha portato, però, ad un crescente disinteresse verso tali classifiche. La risonanza mediatica che esse, almeno le più famose, avevano fino a qualche anno fa è notevolmente scemata. La “freddezza” con cui oggi tali graduatorie vengono accolte è più che altro dovuta alla convinzione che siano di fatto svanire le famose “isole felici”, quelle dove un tempo il lavoro non mancava, la criminalità era assente, la vita sociale e le relazioni umane erano appaganti. E con esse è quasi svanito anche il mito della grande città.
L’indice d’inflazione ogni persona ormai lo misura direttamente con le “proprie tasche” e non con gli indici statistici; per valutare la cura dell’ambiente è sufficiente osservare i cassonetti per le strade (dove ci sono) o le discariche a cielo aperto; per sapere se aumentano i lettori di libri e giornali o gli utilizzatori dei “social” basta scrutare i passeggeri sui mezzi pubblici oppure la gente seduta nella sale d’attesa o sulle panchine nei parchi; circa l’efficienza dei servizi sanitari sono fortunati coloro che non hanno occasione di doverla verificare.
Questo vale per tutti gli altri aspetti dell’economia e della vita sociale. Ognuno misura sempre con il proprio metro. Più che le statistiche, il giudizio sui diversi fenomeni sociali è dettato dai bisogni, dagli interessi, dalla emotività e dalle esperienze quotidiane di ognuno di noi.
Nella classifica 2023 sulla “Qualità delle vita” nelle province italiane, pubblicata questo mese da Il Sole 24 ore, c’è un aspetto curioso: le province di Roma e di Macerata sono praticamente appaiate, posizionandosi rispettivamente al 35° e al 37° posto, con una differenza di appena nove decini di punto a favore della città metropolitana. È come dire che nella Capitale o nel suo interland e a Macerata o in provincia c’è lo stesso livello di qualità della vita. Quanti, però, sono pronti a sostenere che non c’è differenza tra vivere nella realtà maceratese e in quella romana? Probabilmente pochi, perché la qualità della vita, più che dalle condizioni di vita materiali, dipende soprattutto dalla percezione individuale e dalla propria indole. È meglio vivere nelle realtà frenetiche, a volte stressanti e spesso molto confuse delle grandi città, dove però si può avere tutto a portata di mano, purché alla portata del proprio reddito, oppure si sta meglio nella maggiore umanità e accoglienza dei piccoli centri, dove i servizi e i negozi sono mediamente più economici e anche l’ambiente è più genuino, l’aria è più pulita, il traffico meno caotico? Qual è la ricetta ideale? Nessuno lo sa. C’è chi vorrebbe avere ciò che desidera nel posto dove vive e che non lascerebbe per nessun motivo e chi, invece, lascerebbe tutto quello che lo circonda per andare a vivere dove crede di poter realizzare i propri sogni. Il concetto di qualità della vita uguale per tutti non esiste, come non esistono paesi, città, province o regioni perfette.
© Alessandro Feliziani/ Orizzonti della Marca
(Articolo pubblicato sul settimanale Orizzonti della Marca n. 3 del 20 gennaio 2024)
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