Paolina Leopardi, turista curiosa ed esigente



Il turismo è oggi un fenomeno di massa, ma in epoche passate è stato essenzialmente un fatto elitario, prerogativa di nobili ed aristocratici desiderosi di conoscere terre, città e culture. Qualche lettore forse ricorderà che nella pagina Orizzonti con Libri (Orizzonti della Marca n. 29 del 20 luglio 2022) era stata presentata l’edizione Eum, a cura di Donatella Fioretti, del “diario” della nobildonna Elisabetta Ricci (1811 – 1890), che a metà dell’Ottocento, partì da Macerata per un lungo viaggio in Europa. Qui, invece, presentiamo un’altra aristocratica turista, la “contessina” Paolina Leopardi (1800 – 1869), che quasi allo scoccare dei suoi sessant’anni decise di “cambiar vita”, dedicando un intero decennio a viaggi su e giù per lo stivale.

In un libro edito dalla Casa Editrice Leo S. Olschki di Firenze, curato da Lorenzo Abbate e Laura Melosi, sono raccolte 119 lettere inedite che la sorella di Giacomo Leopardi scrisse durante i suoi viaggi alla cognata Teresa Teja, moglie in seconde nozze del fratello Carlo, con la quale aveva un solido rapporto di amicizia e simpatia. Il volume, pubblicato nella collana Studi del Gabinetto Vieusseux, con introduzione di Gloria Manghetti, offre uno spaccato di storia sociale di quegli anni  e dalle lettere, che Teresa Teja nel 1878 trascrisse dagli autografi per farne un’edizione, mai però realizzata, emerge la curiosità intellettuale di Paolina, che nel riferire dei suoi soggiorni parla di accoglienza alberghiera, condizioni igieniche, di abitudini e tradizioni, di arte, moda e spettacoli teatrali.

“Pilla” – come affettuosamente la chiamava il fratello Giacomo – era la terzogenita di Monaldo Leopardi e Adelaide Antici. Ella crebbe con la stessa educazione impartita ai fratelli, studiando i classici e appassionandosi alla letteratura francese. Molto legata al padre, di cui fu stretta collaboratrice nella conduzione della rivista “Voce della Ragione”, Paolina negli anni della giovinezza e poi della piena maturità ebbe a soffrire della “pressione familiare” e del carattere “arcigno e anaffettivo” della madre.

Quando nel 1857, dopo un decennio di vedovanza, la contessa Adelaide muore, la figlia si sente finalmente “libera” e con l’ingresso in casa nel 1858 della cognata Teresa, la nubile Paolina decide di dedicarsi ai viaggi, “come antidoto all’immobilismo cui era stata in precedenza costretta”.

Dalle lettere si scopre che Paolina Leopardi ama spostarsi in treno ed è affasciata dalle stazioni e dal via vai di gente. In alcune di queste sue “corrispondenze”, annota la differenza di rango sociale che avverte nei viaggiatori e si sofferma anche sui tempi di percorrenza. Da Ancona a Bologna, ad esempio, il treno impiega ben otto ore. Del mezzo di locomozione all’epoca più veloce e moderno, Paolina è comunque affascinata e quando soggiorna a Senigallia, la città marchigiana che predilige, riferisce di recarsi spesso in stazione per vedere i convogli che vi transitano; in una lettera descrive la sensazione di meraviglia provata una sera d’estate nel vedere arrivare “un treno con ben 24 vagoni, tutti illuminati”.

Di Ancona, dove si reca per assistere alle rappresentazioni di opere liriche, dice di non trovarsi a proprio agio, costretta a cambiare spesso albergo, così come non le piace Fermo, “brutto, sporco e scosceso” e anche di Pesaro non è entusiasta. Di Roma, all’epoca non ancora capitale d’Italia, pur esprimendo apprezzamenti, sottolinea di non provare particolari emozioni di fronte alle tante antichità della civiltà romana. Di Firenze, dove conduce vita di mondo e si fa scattare una foto nello studio Alinari, Paolina scrive che è una città pulita ed ha bei locali “dove la gente parla in modo dolce ed elegante”, al contrario di Napoli, dove la sporcizia contrasta con la magnificenza di molti incantevoli scorci, ma è ovunque piena di rumori e “il gran vociare per le strade mi desta una senso di spaesamento”. Nella città partenopea nell’aprile 1867 Paolina si reca nella chiesa di San Vitale per fare visita alla tomba del fratello Giacomo e nella lettera a Teresa scrive: “Povero Giacomo! …non potrò mai descriverti l’emozione provata nel baciare quel marmo che mi separava da lui”. Tra le città del meridione visitate in quegli anni figurano anche Brindisi, dove “si salva solo il porto” e Foggia, una bella città, giudicata, però, non molto accogliente. 

Nell’autunno del 1868 Paolina parte da Recanati per recarsi a Pisa dove, in ragione delle sue non buone condizioni di salute, intende giovarsi del clima mite della città. Non farà, però, più ritorno a casa. Dalla sua camera dell’albergo Vittoria scrive l’ultima lettera a Teresa domenica 7 marzo 1869: “…Non sto punto bene, ho grosso raffreddore che mi leva il respiro; quando vado in letto è cosa assai triste, ho due ore di tosse e affanno…. Non ti allarmare”. Paolina Leopardi morirà su quel letto all’alba del sabato successivo, 13 marzo. 

© Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca

L. Abbate e L. Melosi (a cura di), Lettere di Paolina Leopardi a Teresa Teja dai viaggi in Italia (1859-1869), Leo S. Olschki, Firenze 2019, pp. 258, Euro 32.

(Articolo pubblicato sul settimanale ORIZZONTI della MARCA n. 36  del 30 settembre 2023)


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