Ritardi e azzardi, quando l’amministrazione non sa decidere



C’è una malattia assai diffusa e persistente nell’amministrazione pubblica italiana che non si riesce proprio a debellare: la lentezza. Una malattia che ha colpito un po’ tutti i settori pubblici, ma che salta sempre all’occhio di tutti soprattutto per quanto riguarda la riduzione della capacità realizzativa delle opere pubbliche. 

Le prime avvisaglie risalgono ormai a molto tempo fa, agli anni successivi a quelli del famoso “boom economico” e la situazione è andata cronicizzandosi con l’affollarsi intorno al capezzale del malato di un numero sempre maggiore di “medici” (ministeri, regioni, province, comuni, comunità montane, unioni di comuni, aree vaste, consorzi, ambiti territoriali, enti ed autorità con le più disparate specializzazioni), ognuno con la propria medicina. Un gran numero di “dottori” in continuo consulto tra loro, mentre il malato continua a peggiorare.

All’inizio la lentezza ha prodotto le famose “incompiute”, opere pubbliche rimaste a metà con gran spreco di denaro. Ufficialmente in Italia se ne contano oggi ancora 512 (ma probabilmente sono di più), tra le quali il nostro “traforo” di Passo Cornello, nel territorio di Fiuminata.

Poi, per evitare di non riuscire a completare ogni opera, si è ritenuto di dover – in teoria giustamente – assicurarsi prima il completo finanziamento. Così però, tra ipotesi progettuali, progettazioni di massima, progetti di fattibilità, progetti definitivi, progetti esecutivi, interlocuzioni varie ed affollate conferenze di servizio, complice la lentezza di ogni passaggio da una fase all’altra, gli anni volano e, quando magari i lavori potrebbero iniziare, si scopre che i fondi a disposizione non sono più sufficienti. Si riprogetta e si rifinanzia di continuo. Tutto rimane sulla carta, molto spesso solo su quella dei giornali. 

Di esempi se ne possono fare molti, ma è sufficiente ricordare quanto accaduto in questi anni con la ormai “chimerica” intervalliva stradale tra Tolentino e San Severino. All’inizio era stato stimato un costo di ottanta-novanta milioni di euro, ma nei giorni scorsi, a forza di discutere tra i vari interlocutori sul tracciato più opportuno e rivedere i progetti, si è scoperto che, nonostante il finanziamento a suo tempo ritenuto necessario fosse stato raggiunto, per realizzare l’opera occorre – ai costi odierni – almeno il doppio di quanto inizialmente stimato.

Infine c’è un ulteriore aspetto, accentuatosi di recente, che fa perdere ogni speranza di guarigione: la litigiosità tra i “dottori”, incapaci di individuare tutti insieme la migliore soluzione ad ogni problema.

Due soli esempi, entrambi di stretta attualità nell’intera nostra provincia: lo smaltimento dei rifiuti e la gestione del sistema idrico.

Nel primo caso il problema nasce da lontano. Dopo la chiusura delle vecchie discariche di Potenza Picena e di Tolentino e ad un temporaneo nonché esoso conferimento di rifiuti in altre province, dieci anni fa fu realizzata la discarica provinciale di Fosso Mabiglia, in comune di Cingoli, la cui capienza – si disse già allora – sarebbe stata sufficiente a smaltire i rifiuti di tutti i comuni della provincia per non più di sette anni. Una saggia ed efficace gestione amministrativa avrebbe dovuto indurre l’assemblea dei sindaci ad avviare già a quel tempo la ricerca della migliore soluzione per il “dopo Cingoli”. Invece niente.

È chiaro che nessun comune gradisce avere la discarica nel proprio territorio, ma siccome gli amministratori locali sono eletti per decidere ciò che è necessario, il continuo rinvio di ogni decisione non è stato segno di buona amministrazione e ad accorgersene saranno presto le famiglie, che vedranno notevolmente aumentare la tassa comunale sui rifiuti urbani. Siccome una discarica non si individua, né si realizza in poco tempo, l’impossibilità di continuare ancora per molto a smaltire nel cingolano (costo attuale 61 euro a tonnellata), costringerà, infatti, il Cosmari a conferire dall’anno prossimo i rifiuti di tutta la provincia nelle due discariche che sono disponibili a riceverli, ma con costi più che raddoppiati: 130 euro per tonnellata nel sito di smaltimento di Fermo e 150 euro per tonnellata nella discarica di Pesaro.

Diversa dal punto di vista normativo, ma del tutto simile per quanto riguarda la competenza decisionale in capo all’amministrazione pubblica, è la questione della gestione delle risorse idriche. Dopo la cosiddetta “legge Galli” del 1994, tendente alla stabilità della gestione pubblica, infatti, un susseguirsi di norme ha portato già da anni ad un cambiamento a favore della privatizzazione della gestione idrica, secondo criteri di economicità e trasparenza, nel rispetto dei principi del trattato dell’Unione europea. In linea di principio, pertanto, la gestione del sistema idrico integrato nell’Ambito territoriale ottimale n. 3 “Marche centro”, costituto per legge regionale da 46 comuni, quasi tutti della provincia di Macerata, dovrebbe essere affidata mediante gara pubblica a società private o a capitale misto prima della scadenza (31 dicembre 2025) delle concessioni di cui sono titolari le aziende dei servizi pubblici locali che attualmente gestiscono il servizio idrico e che fanno tutte capo ai comuni: Assm di Tolentino (di cui sono soci anche Camerino, Caldarola, Belforte del Chienti, Valfornace, Serrapetrona, Cessapalombo, Camporotondo e Castelsantangelo sul Nera), Assem di San Severino, Apm di Macerata, Atac di Civitanova, Astea di Recanati e Acquambiente Marche di Castelfidardo.

Per evitare che la gestione dell’acqua in tutti i comuni dell’Aato “Marche centro” debba essere affidata ad una società privata mediate una gara europea, da tempo si parla – purtroppo finora se ne è solo parlato – di costituire un consorzio tra le sei aziende pubbliche locali che già gestiscono il servizio. La normativa vigente, infatti, consente l’affidamento diretto “in house” – quindi senza gara pubblica – purché il soggetto affidatario possieda requisiti di capacità tecnica e finanziaria riconosciuti idonei dagli organi di vigilanza. La procedura è assai lunga e complessa e i mesi continuano a correre senza una decisione. Per giunta da alcune settimane nel relativo dibattito politico si sta facendo strada la volontà di costituire una società con la partecipazione diretta di tutti i 46 comuni (compresi i pochi che attualmente gestiscono il servizio direttamente in proprio), molti dei quali avrebbero voce in capitolo sia direttamente, sia attraverso le sei società pubbliche di cui sono giù soci. Una mossa pienamente legittima, ma sicuramente azzardata per i tempi. Le procedure burocratiche per arrivare alla costituzione di un consorzio così ampio sarebbero molto più complesse ed inevitabilmente lente, rischiando di arrivare fuori tempo massimo.

Ecco quindi che il “non decidere”, “decidere tardi” o, come spesso avviene, essere costretti a decidere in fretta e male, perché si sono persi anni che sarebbero stati preziosi per ponderare al meglio ogni aspetto, costituisce un costo elevato per la collettività e, nello steso tempo, rappresenta una delle tante disfunzioni, probabilmente la più grave, della pubblica amministrazione, a ogni livello. Tutto ciò fa sì che l’amministrazione locale, provinciale, regionale, statale venga sempre più percepita lontana, o addirittura di ostacolo alla realizzazione delle aspirazioni dei singoli e della comunità.

© Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca

(Articolo pubblicato sabato 29 aprile 2023 sul settimanale ORIZZONTI della MARCA n. 16-2023)


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