E a Camerino il travaglio doveva essere affrontato in piedi...



La popolazione mondiale ha superato gli otto miliardi di persone, ma in Italia la popolazione diminuisce costantemente e il rapporto giovani-anziani è sempre più sbilanciato a favore dei secondi. L’indice di natalità è ai minimi storici e in molte aree interne esso concorre con le altre cause dello spopolamento.

Il problema della natalità, da anni al centro di dibattiti tra antropologi, sociologi ed economisti, ora è entrato nell’agone politico, soprattutto dopo che il termine “natalità” è stato aggiunto nel nome del ministero per la Famiglia.

Non è questa la sede per affrontare le cause delle denatalità, qui vogliamo solo per un momento svolgere lo sguardo all’indietro, a quando “Diventare madri era un destino obbligato, non una scelta”, come scrive la maceratese Silvia Alessandrini Calisti nella premessa del suo libro dedicato alla maternità nella tradizione marchigiana.

L’autrice indaga su un periodo storico compreso tra il XVII secolo e gli anni cinquanta del ‘900 e lo fa con un inevitabile “focus” sulla donna, la cui vita, nella stragrande maggioranza dei casi, era caratterizzata da due tappe fondamentali: il matrimonio e la nascita dei figli. Il volume indaga su tutti gli aspetti collegati alla maternità, dal binomio inscindibile donna-madre ai rapporti tra la medicina ufficiale e quella popolare.  Si affronta anche il tema della conciliazione della maternità con il lavoro quotidiano, che nelle Marche del passato era prevalentemente legato alle attività rurali. A questo proposito l’autrice ricorda che nell’Ottocento le famiglie contadine, che avevano un contratto di mezzadria, ricevevano maggiore considerazione in presenza di numerosi figli maschi. 

Il libro è suddiviso in diversi capitoli (il concepimento, l’attesa, il parto, dopo il parto, il bambino, la madre marchigiana), che si leggono anche con grande curiosità per i tanti riferimenti a bizzarre usanze e credenze popolari, ormai svanite. A Camerino, ad esempio, nell’Ottocento il travaglio doveva essere affrontato in piedi. La donna doveva camminare nella camera appoggiandosi ad una canna con sette nodi, in quanto si credeva che su di essa si fosse appoggiata sant’Anna durante le doglie. A San Severino, inoltre, fino al compimento del primo anno di vita non si dovevano tagliare le unghie al bambino con le forbici, ma ad accorciarle doveva provvedere la mamma con i propri denti.

Le illustrazioni presenti in copertina e nell’introduzione ai vari capitoli sono opera di Luisa Gianfelici. Oltre ad un utile apparato di note, il volume riporta anche una ricca bibliografia. 

© Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca

S. Alessandrini Calisti, Sani e liberi. La maternità nella tradizione marchigiana (sec. XVII – XX), Giaconi editore, Recanati, 2016, pp. 216, Euro 10.

Nella foto: la copertina del libro e l’autrice

(Articolo pubblicato sul settimanale ORIZZONTI delle MARCA n. 22 del 10 giugno 2023)


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