Sulle province c’è un “indietro tutta”...


In occasione dei venticinque anni di “Porta a porta”, alcuni hanno scritto che la popolare trasmissione condotta sin dal 1996 da Bruno Vespa in seconda serata sul primo canale della Rai è stata – e continua ad essere – una sorta di “terza camera” del Parlamento italiano. 

In verità “Porta a porta” è stata la prima trasmissione di un genere televisivo sempre più affollato e, se di “terza camera” vogliamo proprio parlare, forse ad esserlo è la televisione nel suo insieme. Può sembrare, questo, un paradosso, ma esso nasconde alcune verità: la gente conosce i personaggi politici perché appaiono in Tv; tutti i maggiori canali televisivi nazionali hanno palinsesti affollati di talk show e di trasmissioni sulla politica; la contrapposizione politica è sempre più costruita sulle parole e poco sui fatti. A questo sistema non si sottraggono né i Tg, né i giornali. Anzi, indirettamente essi contribuiscono ad alimentarlo e l’agenda giornaliera di uomini e donne dei partiti si riempie, probabilmente, più di appuntamenti per interviste e partecipazioni televisive che di impegni parlamentari.

Nelle passate diciotto legislature, senza considerare quelle interrotte anticipatamente, il numero delle leggi approvate è costantemente diminuito. Le leggi approvate dal parlamento durante la prima legislatura (1948 – 1953) furono complessivamente 2.317, una cifra record. Sarà solo un caso che la televisione in Italia in quegli anni ancora non c’era?

Nell’ultima legislatura, quella terminata l’estate scorsa con sei mesi d’anticipo, sono state approvate 315 leggi, di cui però solo 62 d’iniziativa parlamentare. Il grosso, infatti, è rappresentato da leggi di conversione di decreti legge. Da diverso tempo, infatti, l’attività legislativa si è prevalentemente spostata dal Parlamento al Governo, che emana in continuazione decreti-legge, inviati alle Camere per la conversione nei 60 giorni successivi. Questo modo di legiferare, ratificando o emendando decreti governativi, è diventato l’impegno maggiore del Parlamento, che spesso a distanza di qualche mese dalla promulgazione di una legge si trova a doverne approvarne un’altra per integrarla o correggerla. Un altro serio problema, infatti, è rappresentato da una tecnica legislativa assai confusa, che ha fatto dell’Italia il paese con le leggi sempre più lunghe, frequentemente modificate e che intervengono su una pluralità di settori.

Eppure le iniziative individuali di deputati e senatori non mancano. Il 13 ottobre 2022, giorno in cui si è aperta la legislatura in corso, tra Senato e Camera dei deputati sono state depositate oltre cento proposte di legge. Gran parte a cura di parlamentari rieletti, che hanno ripresentato proposte già depositate in precedenza, ma decadute con lo scioglimento delle camere. Ad oggi sono già più di mille le proposte di legge depositate, comprese alcune assai curiose, come quelle per la tutela degli insetti, per la “mototerapia”, per la promozione del lievito madre e per la istituzione dell’anagrafe dei gatti. Ma delle tante che continuano ad essere giornalmente depositate, quante proposte riusciranno ad essere effettivamente discusse ed approvate?

I più fortunati a vedere coronate da successo le loro proposte di legge potrebbero essere quei parlamentari (di tutti i partiti), che tra ottobre e febbraio hanno presentato ben otto disegni di legge al Senato e due alla Camera dei deputati, tutti finalizzati a far “risorgere” le province. L’aspetto che accomuna tutte le proposte è il ripristino dell’elezione popolare diretta del presidente della provincia e dei consiglieri provinciali, con la reintroduzione del sistema elettorale vigente fino a dieci anni fa. 

La notizia non ha trovato spazio nei maggiori telegiornali e nemmeno nei giornali quotidiani, almeno nelle principali edizioni e nelle molte pagine in cui ogni giorno si dibatte di politica. Ma di questo non c’è da meravigliarsi, ricordando il coro pressoché unanime della stampa italiana contro le province. 

Sta di fatto che a dieci anni dalla cosiddetta “legge Delrio”, con la quale erano state inferte pesanti “picconate” alle province, quale premessa per una loro successiva abolizione, ora tutti i partiti, compresi quelli che all’epoca costituivano la maggioranza parlamentare, ritengono di dover innescare una sacrosanta retromarcia. 

È evidente che coloro i quali vedevano in quella “manovra” un pericolo per la stessa architettura amministrativa dello Stato, ma soprattutto per lo sviluppo dei territori, erano nel giusto.

È apparso chiaro, infatti, che un sindaco, chiunque esso sia, non può ben amministrare l’intera provincia, come si proponeva la legge ora in vigore e che il parlamento potrebbe presto abrogare. Anche Sandro Parcaroli, attuale presidente della provincia di Macerata, quando due anni e mezzo fa è stato eletto sindaco del capoluogo, aveva detto di voler essere il “sindaco della provincia”, ma quando poi ha assunto anche la presidenza dell’amministrazione provinciale, non è riuscito nell’intento. Non per incapacità, ma perché il ruolo di sindaco del capoluogo di provincia impedisce di avere una visione dei problemi complessivi del territorio, specie se essi divergono – quando non addirittura risultino in contrasto – con gli interessi della città.

L’ampia base parlamentare a sostegno delle nuove concordanti proposte di legge – tutte illustrate lo scorso 3 marzo in una seduta della Commissione affari costituzionali del Senato, che ha nominato relatrice la senatrice Daisy Pirovano – lascia supporre che entro l’anno la modifica legislativa abbia ottenga l’approvazione, per essere probabilmente applicata già dalle elezioni del 2024. 

Ma sorge un dubbio. Sarà sufficiente restituire ai cittadini la scelta degli amministratori provinciali per ridare alle province lo “smalto” perduto in questi anni?

Nella seconda metà del decennio passato alle province sono state progressivamente sottratte – a beneficio delle regioni – risorse, figure professionali e funzioni, con ricadute negative sul territorio.

In verità almeno una delle proposte di legge depositate in Senato va ben oltre gli aspetti della sola disciplina elettorale, prevedendo anche un corposo riordino delle funzioni fondamentali della provincia, a cominciare dalla pianificazione territoriale, per poi occuparsi della gestione integrata della difesa del suolo, di tutela dell’ambiente, pianificazione dei trasporti, organizzazione dei servizi pubblici di ambito provinciale, assistenza tecnica ai comuni e molto altro.

Che dire, allora: “se son rose, fioriranno!”

© Alessandro Feliziani /Orizzonti della Marca

(Articolo pubblicato sul settimanale ORIZZONTI delle MARCA n. 10 di sabato 18 marzo 2023)


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