Siamo cittadini in attesa.


È stato detto e scritto che le elezioni regionale del 12 e 13 febbraio nel Lazio e in Lombardia sono state un test nazionale, poiché sono stati chiamati alle urne più di dodici milioni di elettori, praticamente un quarto dell’intero corpo elettorale. Da questo punto di vista è innegabile il valore delle recenti elezioni e quindi è stato un test importante che, però, offre riflessioni ulteriori rispetto a quelle legittimamente sottolineate dai vincitori.

Il risultato è stato chiaro e il distacco tra coloro che hanno vinto e gli sconfitti non lascia dubbi, ma nessuno si lasci suggestionare troppo dalle percentuali ottenute dagli eletti e dai non eletti in Lazio e in Lombardia. Al di là del consenso elettorale riscosso dai singoli partiti e dalle coalizioni in base al voto di quanti hanno effettivamente deposto la scheda nell’urna elettorale, il test non dimostra né che l’Italia è di destra, né che la sinistra è minoritaria. La catastrofica astensione (con punte ben oltre il 60 per cento), infatti, dimostra solo un’inarrestabile disaffezione per la politica. Il vero responso del “test” è stato proprio questo. Ed è l’aspetto veramente preoccupante.

Certo gli “assenti” (in questo caso al voto) hanno sempre torto, ma non si tratta di qualunquismo o di indifferenza. Tra i milioni di astenuti ci sono ovviamente anche quanti si comportano da qualunquista, ma si tratta sicuramente una stretta minoranza. Agli albori della Repubblica ci fu addirittura un partito che si chiamava “Fronte dell’Uomo qualunque”, che – negli anni in cui votavano praticamente tutti – non ebbe molta fortuna, anche se non era un movimento qualunquista nel senso letterale del termine. 

L’astensione registratasi il 12 e 13 febbraio, cresciuta in misura tanto inaspettata quanto impressionante, dimostra solamente che gli italiani sono “cittadini in attesa” e sono la maggioranza. Alcuni illustri analisti hanno definito questa massa di cittadini “elettorato d’opinione”, ovvero persone di ogni età e condizione sociale non legate ideologicamente a nessun partito, ma pronte ad appoggiare chiunque dimostri di saper ben amministrare.   

È per questo che il valore del “test” elettorale di due domeniche fa va ben oltre il Lazio e la Lombardia. Esso vale per tutte le regioni e per tutti i comuni, anche per i più piccoli, da Camerino in su e da Camerino in giù, dove prima o poi si tornerà al voto e dove la politica locale (senza tuttavia voler generalizzare), così come quella nazionale degli ultimi lustri, ha mostrato di perseguire il consenso effimero del momento, mettendo in cima alla scala degli obiettivi l’interesse di partito. Insomma, ciò che la maggioranza degli elettori rifiuta è la politica con la “p” minuscola, perennemente litigiosa e molto spesso ferma su questioni lontane dalle maggiori preoccupazioni della gente.

La gran parte degli elettori che nel Lazio e in Lombardia sono rimasti a casa si sarebbero tenuti lontano dal voto anche se fossero stati elettori nelle Marche o in qualsiasi altra regione. E questo dovrebbe essere un segnale forte per la classe politica. Quando tutti coloro che non sentono il bisogno di esprimersi liberamente con il voto rappresentano ben oltre la maggioranza, anche il mandato popolare che scaturisce da ogni singola elezione ne esce indebolito.

Ecco, quindi, che il crescente astensionismo ha assunto i caratteri di una vera emergenza per la stessa democrazia. Occorre riportare al voto i “cittadini in attesa”, ovvero tutti coloro che chiedono una classe politica in grado di volare alto, che riscopra valori nobili, impegnata in scelte e programmi di ampio respiro per costruire il futuro del Paese e dei paesi. Una politica che sappia realizzare riforme per servizi sanitari migliori, per una scuola capace di educare e formare le nuove generazioni, per rendere le città più vivibili e i paesi più vivi, per valorizzare ogni territorio secondo le rispettive peculiarità, per politiche economiche e del lavoro che non costringano i più capaci e i più volenterosi a migrare, per un fisco più equo e che elimini le ampie sacche di evasione oggi presenti, per una giustizia rapida e più certa, per una burocrazia meno opprimente e più vicina ai bisogni di tutti. Insomma, l’attesa è per una politica più concreta e credibile.

Gli italiani chiedono persone, sindaci, consiglieri, governatori, parlamentari, ministri, presidenti che possano un giorno definirsi “leader” per ciò che saranno stati capaci di realizzare. 

Se tutti coloro che oggi si tengono lontani dai seggi elettorali dovessero tornare a votare avrebbero la possibilità – proprio perché sono diventati veramente tanti, più degli “aficionados” dell’uno o dell’altro schieramento – di confermare o di ribaltare pronostici e risultati di ogni elezione. Potranno scegliere un governo, una giunta regionale e un sindaco di destra o di sinistra oppure né di destra né di sinistra. In ogni caso qualcuno capace di un “Politica” migliore.

© Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca

(Articolo pubblicato sabato 25 febbraio 2023 sul n. 7 de settimanale Orizzonti della Marca)

 


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