L’ARBITRO CESARE IONNI, ORGOGLIO MACERATESE. IL FIGLIO RUGGERO SVELA IL SUO DIARIO.



La nuova sede della sezione maceratese dell’AIA (Associazione italiana arbitri) è intitolata a Cesare Ionni (1917-2008). Ecco un profilo della celebre “giacchetta nera” internazionale attraverso un’intervista al figlio Ruggero, realizzata per Cronachemaceratesi.it in occasione del centenario della nascita dell’arbitro maceratese. Articolo pubblicato il 3 dicembre 2017.

© Alessandro Feliziani /Cronache Maceratesi

Cesare Ionni. Verrebbe da dire, “…e chi non lo ricorda!”. Purtroppo, invece, per tanti giovani di oggi questo nome dice probabilmente assai poco. A ricordarlo sicuramente, al contrario, sono molti di coloro che negli anni Cinquanta e primi anni Sessanta erano già in età per seguire lo sport del calcio. Un calcio mediaticamente non invadente e soprattutto con meno soldi rispetto ad oggi. In quel calcio di allora Cesare Ionni era la “giacchetta nera” per antonomasia, ovvero l’arbitro italiano più famoso, anche all’estero. Il direttore di gara che tutti i giocatori della massima serie temevano, ma che tutte le squadre in cuor loro desideravano avere come arbitro, specie nelle partite più delicate.

In quegli anni Cesare Ionni è stato il personaggio maceratese più noto al grande pubblico e Macerata ha avuto, grazie a lui, grande notorietà. Come si usava allora, infatti, il nome della città di provenienza era sempre riportato accanto al nome dell’arbitro nelle cronache dei giornali e la classica frase “…agli ordini del signor Jonni di Macerata scendono in campo…” apriva le radiocronache di Nicolò Carosio e degli altri radiocronisti quando trasmettevano alla radio (o in TV, registrato, uno solo dei due tempi la domenica sera) le partite dove il direttore di gara maceratese era impegnato.

Con questo articolo Cronache Maceratesi vuole ricordare l’arbitro che ha dato lustro a Macerata e lo fa nella ricorrenza del centenario della nascita. Cesare Jonni era nato, infatti, a Macerata nel 1917 e a Macerata è sempre vissuto per tutti i suoi 91 anni di vita. Di professione era ispettore dell’INAM (l’Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie, confluito nel 1977 nel Servizio sanitario nazionale) e, salvo i periodici allenamenti per tenersi necessariamente in perfetta forma fisica, divideva le sue giornate tra casa ed ufficio, entrambi in quel tempo in via Alfieri.

Aveva esordito in serie A l’ultima domenica del 1951 arbitrando Torino-Lucchese, e terminato la carriera alla fine del campionato 1963-64 dopo aver diretto 263 partite nella massima serie (secondo arbitro italiano per numero di presenze), più altre 58 in serie B e molte altre ancora a livello internazionale. Tre lustri di intensa attività arbitrale “certificata” da una gran quantità di documenti oggi conservati da suo figlio Ruggero. Lo abbiamo incontrato nella sua casa di Macerata, in una stanza piena di foto che documentano la presenza del padre Cesare in importanti partite della storia del calcio e tra diversi cimeli, tra cui – forse il più prezioso – il “crack”, ovvero il pallone di cuoio utilizzato nella partita Urss-Uruguay ai campionati del mondo del 1962 in Cile, arbitrata dal maceratese Ionni.

“Mio padre – ci dice Ruggero Jonni – era meticoloso e preciso non solo mentre arbitrava, ma anche nella vita. Di ogni partita da lui diretta scriveva un diario in cui riportava tutti i dettagli, da quando riceveva la designazione fino al suo rientro a Macerata; quindi il viaggio, il soggiorno e naturalmente aneddoti legati ad episodi accaduti sia in campo che fuori”.  Ci mostra il diario della partita internazionale tra Indonesia e Cina del 12 maggio 1957 a Giacarta, dove è annotato un episodio curioso, ma che dimostra la sua fermezza nel non venir mai meno nelle questioni di principio e in questo caso anche al suo orgoglio di essere italiano. Nel fare un sopralluogo al terreno di gioco, Jonni si accorse che erano state esposte le bandiere delle due nazionali, ma non quella italiana, nazione dell’arbitro. Fu irremovibile e - ritardando l’inizio della partita - costrinse gli organizzatori a rivolgersi all’ambasciata d’Italia per poter avere una bandiera. Solo quando vide il tricolore sventolare accanto ai vessilli indonesiano e cinese diede il fischio d’inizio. 

“Quando arbitrava in Italia – racconta ancora il figlio Ruggero – partiva da Macerata sempre il sabato nel primo pomeriggio. Secondo le distanze, utilizzava il treno oppure l’auto con la quale lo accompagnavano quasi sempre due amici fraterni, il chirurgo Franco Tardella e il notaio Lorenzo Lorenzelli. Rientrava a casa la domenica notte per essere puntualmente al suo posto di lavoro all’Inam il lunedì mattina”.

Oltre a scrivere il diario, in famiglia raccontava della trasferta?

Sì, in particolare a me che ero il figlio maschio e seguivo il calcio. A volte gli capitava di commettere qualche errore arbitrale e non aveva difficoltà ad ammetterlo. A quel tempo l’arbitro era “solo” con i suoi guardalinee – mio padre, come tutti gli arbitri di serie A aveva una terna fissa della quale facevano parte i piacentini Mazzetto e Cristina – non c’era il “quarto uomo” e non c’era come oggi il VAR (video assistant referee). L’errore faceva parte del gioco, come ritengo sia giusto e comunque mio padre quando capitava non aveva difficoltà ad ammetterlo.

Una grande onestà intellettuale….

Non solo intellettuale. Quando andò ai mondiali del 1962 in Cile, dopo aver arbitrato Urss–Uruguay e arrivato alle semifinali, capì che non sarebbe stato designato per la finale per colpa di una campagna stampa che si era scatenata contro l’Italia dopo lo scontro diretto tra la nostra nazionale e quella cilena.  Mio padre ne fu indirettamente vittima e così decise di ripartire. Presentatosi alla segreteria organizzativa per essere liquidato delle sue spettanze, si accorse che gli avevano calcolato la diaria anche sui cinque giorni che mancavano alla fine del campionato e restituì subito quei dollari in più che gli erano stati dati.

Il famoso giornalista sportivo Gianni Brera, nel libro “63 partite da salvare” edito da Mondadori, a proposito di Milan – Roma del 1956 scriveva. “Jonni, fondista di molto talento, in quel nebbione che non permetteva nemmeno di vedere i guardalinee, ha sbagliato pochissimo” e in un’altra parte scriveva “Jonni si fa apprezzare anche quando sbaglia”…...

In quello che scrisse Brera ci sono due verità. La prima è che mio padre correva molto sul campo perché proveniva dall’atletica, tanto che fu a lungo anche giudice Fidal. In gioventù era stato un mezzofondista, detenendo a lungo il titolo marchigiano sulla distanza dei 5 chilometri. La seconda verità è che, pur sbagliando come tutti, veniva apprezzato anche nell’errore, proprio per il suo modo di arbitrare. Utilizzava molto la mimica, anche con i suoi guardalinee. Ad esempio, se dopo un’azione confusa in area il guardalinee si portava un fazzoletto al naso ciò significava che tutto si era svolto regolarmente. 

Dirigeva quindi con grande autorevolezza…

L’autorevolezza l’ha conquistata sul campo e questo ovviamente lo ha aiutato molto nella carriera, ma tale autorevolezza fu di aiuto anche al calcio di allora. Ricordo un episodio a cui ho assistito personalmente a Torino nel 1958. Io avevo dieci anni. Mio padre era stato designato ad arbitrare Juventus-Milan e mi aveva portato con sé, come capitava qualche volta.  Lo stadio era gremito e un migliaio di tifosi, rimasti fuori, riuscirono a sfondare un varco riversandosi direttamente sul terreno di gioco. La partita rischiava di non poter essere giocata. Mio padre, per amore verso lo sport, per comprensione verso i tifosi e anche per garantire l’ordine pubblico, salì in tribuna e, preso il microfono in mano, annunciò attraverso gli altoparlanti che la partita si sarebbe svolta regolarmente a condizione che i tifosi presenti in campo si fossero disposti ai bordi del terreno di gioco rimanendo fermi al loro posto per l’intero incontro. Così fu, e peraltro la partita fini 5-4 per il Milan, con il gol decisivo realizzato allo scadere del tempo.  

Nei confronti dei giocatori in campo com’era?

Esigeva rispetto, ma usava anche l’ironia. C’è un simpatico episodio raccontato da Giampiero Boniperti nel suo libro ‘Una vita a testa alta’ (Rizzoli) che a Natale del 2000 inviò a mio padre con un affettuoso biglietto. In una partita Boniperti protestava eccessivamente per i falli subiti e ogni tanto gridava ‘Arbitro, fischi!’. Mio padre a un certo punto lo chiamò e gli disse: ‘Boniperti, vuole arbitrare lei? Le do il fischietto’. Molti anni più tardi, quando entrambi già non calcavano più i campi di gioco, s’incontrarono e ricordarono quell’episodio. L’indomani mio padre spedì a Boniperti un pacchetto con dentro uno dei suoi due fischietti e una dedica che diceva: ‘Uno dei due che mi ha accompagnato durante l’attività arbitrale; molto volentieri lo tolgo dallo scrigno dei miei ricordi, consapevole che verrà custodito da persona degna’. 

Come erano i rapporti con i colleghi arbitri?

Ottimi e aveva anche molti amici. In particolare Guido Agnolin di Bassano del Grappa che era stato arbitro internazionale prima di lui. Poi anche con il figlio, Luigi Agnolin, che in occasione del suo debutto in serie D a Tolentino venne a casa nostra. Era diventato molto amico anche con Concetto Lo Bello, con reciproche visite a Macerata e a Siracusa. Lo Bello in seguito sarà l’unica “giacchetta nera” italiana a superarlo per numero di presenze in serie A e quando l’arbitro siciliano raggiunse il numero di presenze di mio padre, Indro Montanelli scrisse: ‘Jonni, l’arbitro più illustre per luminosità e lunghezza di carriera’.

Nonostante la notorietà, l’arbitro Jonni è stato ricordato in passato anche a Macerata come persona sobria e cordiale con tutti; in pratica non si dava affatto le arie.

Faceva il suo lavoro con rigore, ma anche con modestia. Pensi che ha voluto concludere la carriera arbitrando in serie B. Era la stagione 1963-64, l’anno in cui il Bologna vinse il suo ultimo scudetto. Mio padre, oltre Macerata, ha sempre amato la città di Trieste, dove aveva anche degli amici. Ripeteva spesso che gli sarebbe piaciuto concludere la carriera proprio lì, ma quell’anno la Triestina militava nella serie cadetta. Non se ne preoccupò affatto. Il designatore lo accontentò e il 21 giugno 1964, quando aveva già compiuto 47 anni di età, ripose per l’ultima volta il fischietto in tasca al termine di Triestina-Varese. In seguito è stato a lungo designatore e dirigente dell’AIA (Associazione italiana arbitri). 

Cesare Jonni, un grande arbitro, un grande sportivo, un grande maceratese, che il treiese Maurizio Mattei, anche lui arbitro di serie A, poi designatore e dirigente AIA, considerato un po’ il suo erede, ricorda ancora oggi con affetto: “come lui, anch’io da ragazzo ero un atleta, correvo, e Jonni che era giudice della Fidal mi spronò a diventare arbitro. È sempre stato straordinario nel mettere a disposizione dei giovani con semplicità e umanità competenza ed esperienza, da grande leader”.  

FOTO: Cesare Ionni (al centro) in Cile nel 1962 in URSS-Uruguay, partita del campionato mondiale.

Commenti

Post più popolari