Ai parlamentari che verranno...
© Ancora pochi giorni e poi i buoni propositi lasceranno il posto alle concrete difficoltà del momento. Alcuni forse si dovranno pentire delle promesse fatte con troppa leggerezza, altri, più prosaicamente, si dimenticheranno della parola data.
Le elezioni del 25 settembre rappresentano per molti versi un “unicum” nel panorama politico della Repubblica: per la prima volta si elegge un parlamento ridotto nei numeri, per la prima volta le urne si aprono sul finire della stagione estiva, per la prima volta gli elettori sono chiamati al voto in una situazione di seria e generale difficoltà, caratterizzata da diffuse incertezze come mai avvenuto in passato.
L’indecisione che domina sull’economia, sul lavoro, sul “domani” di tutti si riflette anche su queste elezioni politiche.
Da sabato scorso (per disposizione di legge) nei giornali e in TV sono scomparsi i sondaggi elettorali, sui quali per mesi tutti si sono in qualche maniera misurati. Privato dei sondaggi l’elettore avrà la sensazione (teorica) che tutti partono alla pari.
Sta di fatto che con milioni di elettori ancora indecisi per chi votare e, soprattutto, se andare o meno a votare, l’esito elettorale non è ovunque scontato, almeno nelle proporzioni. A rendere incerta la composizione del nuovo parlamento contribuiscono diversi fattori e due in particolare: Una alta oppure bassa partecipazione al voto e la “mobilità elettorale”. Quest’ultima cresciuta nel tempo a seguito della scomparsa dei vecchi partiti, che in anni ormai lontani erano punti di riferimenti assai stabili un po’ per tutti e – diciamolo pure – anche migliori di quelli attuali.
In queste elezioni, inoltre, la “storia” personale di ciascun candidato può fare la differenza. Del resto, per un elettore attento alle sorti del proprio Paese, il giudizio sulla persona dovrebbe contare più del simbolo, anche perché negli ultimi anni è emerso chiaramente che non basta vincere le elezioni per governare, ma bisogna saper governare bene per conservare il consenso.
Una società che ha perso molti valori e soprattutto smarrito il senso del bene comune ha bisogno di una classe politica meno sensibile alle “sirene” e non concentrata solo su sé stessa, ma capace di navigare in mari tempestosi, come quello che stiamo attraversando e di percorrere strade, anche accidentate, che conducano ad obiettivi largamente condivisi e capaci di aprire nuovi orizzonti per le generazioni che verranno.
Chissà come sarebbe stata questa campagna elettorale se non fosse capitata nel momento drammatico del “caro bollette”? Oggi tutti parlano di “soluzioni” per l’immediatezza, ma per il futuro? Il parlamento che si insedierà il prossimo 13 ottobre dovrà esprimere ed accompagnare un governo per i prossimi cinque anni. Quale visione si ha del Paese per il 2027? Nessuno lo dice.
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Tra le novità di queste elezioni c’è anche una “nuova geografia” elettorale. A seguito della riduzione dei parlamentari da eleggere, i collegi elettorali sono stati ridisegnati all’interno delle regioni e in questo contesto la provincia di Macerata ha “guadagnato” la possibilità di tornare ad essere unita in un unico collegio per la Camera dei deputati (per il Senato è, invece, aggregata a Fermo ed Ascoli). A differenza del passato, quindi, la scheda elettorale sarà uguale, con identici candidati, da Serravalle a Civitanova, così come da Apiro a Monte San Martino e da Cingoli a Visso.
Una provincia che non si è mai sentita veramente unita potrà esserlo almeno nell’elezione del proprio deputato. Una “unità” che va ben oltre l’elezione stessa e che attribuisce una maggiore responsabilità anche a chi sarà eletto. Il deputato ideale della provincia di Macerata sarà colui o colei capace, all’occorrenza, di spogliarsi della casacca della propria parte politica per poter rappresentare l’intero territorio, che soffre di un atavico “distacco”, soprattutto economico, tra costa ed entroterra, tra nord e sud, tra una vallata e l’altra. Un parlamentare che sappia rappresentare tutti, che conosca i problemi e le risorse di ogni angolo del territorio, le aspirazioni e le peculiarità di ogni singola comunità, anche la più piccola, potrà – pur indirettamente – riuscire a realizzare ciò che i sindaci dei comuni maceratesi non sono mai riusciti a costruire insieme nei consessi in cui sono stati chiamati a confrontarsi e nei quali – in tempi più recenti – si è radicalizzata una contrapposizione tra destra e sinistra.
Inutile soffermarsi sul tema della ricostruzione post sisma (impegno ovvio ed urgente), che solo una miope visione politica potrebbe etichettare come problema del solo entroterra. Inutile ricordare l’inarrestabile calo demografico, che non sta risparmiando neanche i centri un tempo economicamente sviluppati. Inutile ricordare la perdita di alcuni servizi e il declassamento di altri, così come i pesanti ritardi infrastrutturali.
Cosa potranno fare, quindi, il deputato della provincia di Macerata e gli altri parlamentari (speriamo siano più d’uno) eletti nelle Marche e che abbiano a cuore per ragioni di “vicinanza” questo territorio? Indirettamente possono contribuire a fare molto. Per prima cosa, ad esempio, ripresentare subito in parlamento la proposta di legge per la montagna già contenuta nel provvedimento del governo del marzo scorso e decaduta a causa dello scioglimento anticipato delle camere. Negli investimenti ferroviari già programmati e in quelli ancora in via di completa definizione, potranno evitare che ci si dimentichi della direttrice adriatica a sud di Ancona e del miglioramento e raddoppio della linea Orte-Fabriano-Falconara. Nel campo dell’istruzione scolastica e universitaria potranno intervenire affinché non siano penalizzati i paesi montani e i piccoli atenei. Nelle politiche fiscali potranno battersi per agevolazioni a favore di nuove imprese nelle zone interne. Potranno impegnarsi per la semplificazione normativa, per ridurre l’eccessiva burocrazia e per la lotta all’evasione fiscale, tutti mali che colpiscono soprattutto i più indifesi. In un paese che ha il 38% di superfice boscata potranno gettare le basi per una politica forestale che tolga all’Italia il triste primato di maggiore importatore europeo di legname dalla Cina e sia fonte di nuove attività nelle aree montane.
Insomma, i parlamentari che hanno a cuore la propria terra e la comunità di cui si sentono parte non avranno tempo per riposarsi.
© Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca
(Articolo pubblicato sul settimanale ORIZZONTI della MARCA n. 34 del 17 settembre 2020)
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