Primi per campanili o per campanilismo?


© Alcune settimane fa, in un comunicato del governo si leggeva che il Consiglio dei ministri aveva preso atto, senza formulare rilievi, della legge regionale dell’Emilia-Romagna con la quale è stata data attuazione al distacco dalle Marche dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio e la loro aggregazione alla provincia di Rimini. Si è trattato dell’apposizione di un visto, di un atto dovuto insomma, ma tale passaggio ha reso ufficiale un primato della provincia di Macerata, che ora risulta “la più vasta delle Marche e quella con il maggior numero di comuni”.  

Un primato privo di concreto valore, una sorta di “medaglia di cartone”, a cui si è arrivati per indiretta volontà di altri territori, attraverso divisioni e distacchi degli ultimi vent’anni.

Il primo passo risale alla costituzione, nel 2004, della provincia di Fermo, formatasi dallo smembramento di quella di Ascoli Piceno, che all’epoca contava ben 73 comuni. Pochi anni dopo è iniziato l’esodo dei comuni del Montefeltro verso l’Emilia-Romagna: Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria, Talamello, per finire nel 2021 con Montecopiolo e Sassofeltrio. 

Arretrando il suo confine con la Romagna, la provincia di Pesaro ha perso complessivamente circa quattrocento chilometri quadrati di territorio. Inoltre, sommando la “diaspora” dei comuni ad altre operazioni di incorporazioni e fusioni, la stessa provincia ha visto diminuire in questi anni il numero complessivo di municipi di ben diciassette unità. Il risultato è che oggi la provincia di Macerata, con i suoi immutati 2.779 chilometri quadrati, è diventata la più estesa, proprio scavalcando Pesaro (2.567) ed è anche la provincia con il maggior numero di comuni (55), precedendo Pesaro (50), Ancona (47), Fermo (40), Ascoli Piceno (33).

Nella “regione al plurale” l’insoddisfazione verso ogni aggregazione è, in un certo senso, “fisiologica”. Tuttavia si deve tener conto che le province marchigiane, tutte costituite da territori in parte montani e in parte costieri, espressioni di culture e sensibilità diverse, non si prestano ad una crescita socioeconomica modellata su un’identità forte. Quando si sostiene che le differenze possono essere un valore aggiunto, le Marche costituiscono un esempio al contrario. Forse una maggiore omogeneità dei territori aiuterebbe. 

Un tentativo di “rovesciare” in senso geografico le aggregazioni provinciale fu ipotizzato all’inizio del 1983 dal sindaco di Fabriano, Antonio Merloni, che si fece promotore della costituzione di una provincia pedemontana: una quarantina di comuni, da Pergola, il più a nord, fino a Visso, il più a sud. Alla provincia di Macerata si chiedeva la “secessione” più consistente, 21 comuni, con Camerino, Matelica e San Severino i centri maggiori.

L’iniziativa tenne viva l’attenzione politica per mesi, ma nei comuni maceratesi l’idea non fu accolta con entusiasmo. Il sindaco di San Severino, Adriano Vissani e il presidente della comunità montana di Camerino, Giuseppe Vecchioli furono tra i più scettici e anche i più solerti ad intervenire sulla stampa con dichiarazioni volte a frenare ogni smania di cambiamento. Fu nominato un comitato che avrebbe dovuto organizzare un convegno “costitutivo”. Furono chiamati a farne parte, oltre a Merloni, Vissani e Vecchioli, i sindaci Giovanni Gaeta (Camerino), Luigi Travaglini (Castelraimondo), Oscar Generosi (Pioraco), Gilberto Cruciani (Matelica). Al convegno, però, non si arrivò mai. 

Era chiaro che la proposta di Merloni mirasse a fare di Fabriano il capoluogo. Per dare una spinta ad una rapida soluzione fu anche ipotizzato il doppio nome “Provincia di Fabriano-Camerino”, che però non fu risolutivo per far virare in un senso favorevole il dibattito all’interno della politica camerte. Sta di fatto che i campanilismi, le pressioni politiche volte a non “destabilizzare” altre situazioni e soprattutto l’obiettiva mancanza di un “centro-guida”, riconosciuto come tale da tutti, misero fine al progetto di una provincia montana.

Sarebbe stata una buona soluzione? Forse sì, forse no, forse avrebbe cambiato qualcosa rispetto all’attuale situazione. È difficile dare una risposta precisa, perché ogni possibile soluzione di questo genere incontra due ostacoli: l’acceso “campanilismo”, che – lo vediamo ogni giorno anche nel più minuscolo contesto – rende opaco il valore e la forza dei singoli “campanili” e l’atavica incapacità di fare squadra, di mettersi reciprocamente a servizio di una causa comune. 

Una turista lombarda innamorata delle Marche, dove viene più volte l’anno a trascorrere brevi vacanze, intervistata dal Tgr durane le recenti festività pasquali, ha dichiarato di notare nella nostra regione “l’assenza di una mentalità comune di crescita e di ottimizzazione delle potenzialità esistenti. Ognuno – ha detto – bada a curare il proprio giardino, senza una visione più ampia”.

Può essere una valida riflessione da cui partire, anche per dare concretezza ad una classifica che non si regga solo sui numeri. 

© Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca

(Articolo pubblicato sul settimanale ORIZZONTI della MARCA n. 17, supplemento a L’Appennino camerte del 7 maggio 2022)


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