Piove sempre sul bagnato.


© “Piove sul bagnato” è uno dei modi di dire più comuni, che può avere significati anche opposti. In origine sembra avesse un’accezione solo positiva, ma nel tempo ha preso il sopravvento la sua valenza negativa e si dice “piove sul bagnato” per sottolineare che le avversità si abbattono contro chi è già tormentato dalla sfortuna. 

Udita spesso in televisione, tale espressione è stata utilizzata anche di recente dai giornalisti inviati nei luoghi alluvionati o dove eventi naturali hanno causato danni e sofferenze alle popolazioni già provate.

Possiamo quindi dire che è piovuto e piove sul bagnato pure nei luoghi del terremoto del 2016. È vero, ci sono stati anche tanti giorni di sole, rappresentati da innumerevoli espressioni di concreta solidarietà, ma nuvoloni pieni di pioggia hanno troppo frequentemente oscurato il cielo sopra i paesi distrutti e le comunità in attesa di riconquistare una vita normale.

Il temporale più insidioso, che non lascia scampo, è la burocrazia: quel groviglio di leggi, leggine, regolamenti, norme di ogni tipo, che si accavallano e a volte si contraddicono, tali da immobilizzare tutto e tutti, cittadini, imprese, tecnici, amministratori e perfino chi dovrebbe applicare e rendere funzionali quelle disposizioni. 

Dopo tre anni di “nubifragio” è arrivato un commissario straordinario per il post terremoto che ha aperto finalmente un ombrello. Per quanto sia difficile lavorare con l’ombrello sotto il temporale, ha fatto molto per arginare il diluvio. Le sue ordinanze speciali, i suoi programmi di responsabilizzazione delle amministrazioni locali, i suoi interventi “riparatori” di falle normative hanno in molti casi portato spiragli di sereno. 

Ma siccome piove sempre sul bagnato, ecco arrivati altri forti acquazzoni. L’improvvisa carenza di materie prime necessarie all’attività edilizia, quali legno, acciai, materiali ferrosi, per il cui approvvigionamento il nostro paese è totalmente dipendente dall’estero, ha bloccato anche quella ricostruzione cosiddetta “leggera” che si era messa in moto. La conseguente repentina lievitazione dei prezzi delle stesse materie prime e di tutti i loro derivati ha messo in crisi le imprese. L’incertezza sui costi delle opere edilizie ha comportato anche difficoltà nella definizione dei progetti. Progetti che già tardavano ad essere predisposti a causa della sproporzione tra la grande quantità di interventi da realizzare e il numero dei tecnici localmente incaricati, impossibilitati – dato il carico di lavoro accumulato – ad adempiere alle necessità dei loro committenti con la dovuta celerità. 

Ma non finisce qui. L’incentivo agli interventi di edilizia extra terremoto, rappresentato dal cosiddetto “superbonus”, ha allontanato molti imprenditori edili dall’opera di ricostruzione post sisma e più recentemente diversi imprese giunte da fuori regione hanno lamentato serie difficoltà sia nel reperire localmente la necessaria mano d’opera, sia nel far alloggiare le loro maestranze “in trasferta”.

Su tutto questo – e in parte causa di tutto questo – c’è l’alluvione pandemica del Covid 19.

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Tra meno di una dozzina di settimane saranno due anni che il Covid ha rivoluzionato la vita di tutti. La pandemia, che a momenti sembra ritirarsi e in altri momenti torna ad espandersi, anche per colpa di molti comportamenti affrettati e avventati, è stata un vero “tsunami” su un’economia già in affanno. 

In questi due anni, però, il Covid ci ha fatto anche scoprire diverse problematiche. In primo luogo il fallimento di una politica sanitaria, che ha progressivamente abbandonato i territori, incidendo negativamente sugli equilibri territoriali, i flussi demografici, i servizi pubblici e la mobilità delle persone, non ultime sulle questioni legate alla tutela del patrimonio ambientale e naturalistico. Molti di coloro che ne sono stati gli artefici si sono già ricreduti, ma il dietrofront, per quanto auspicabile, non sarà né semplice né a breve termine.

È venuto allo scoperto anche il difficile – per certi versi improduttivo e dannoso – concorso tra Stato e regioni. Tutti ricordiamo all’inizio della pandemia le fughe in avanti compiute in ordine sparso dalle regioni nell’adottare provvedimenti di chiusura delle scuole. Poi, quando il governo ha iniziato a imporre restrizioni su scala nazionale, sono state le stesse regioni – o almeno quelle di diverso orientamento politico – a frapporre ostacoli.  E nelle scorse settimane, con il riacutizzarsi della crisi pandemia, sono state addirittura proprio le regioni a chiedere per prime nuove limitazioni. 

Tutto ciò mette in luce come lo stesso sistema politico sia spesso incapace di trovare un punto di coesione perfino su aspetti fondamentali, come la tutela della salute. Tutto entra nel tritacarne dell’agone politico, anche il Covid, figuriamoci il resto.

© Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca

(Articolo pubblicato sul settimanale ORIZZONTI della MARCA n. 46 del 4 dicembre 2021)


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