Un caffè "amaro" anche per Camerino.



© Camerino e il maceratese hanno validi motivi per recriminare la mancata designazione del caffè espresso a patrimonio dell’Unesco. A Camerino, Belforte del Chienti, Tolentino e Macerata, infatti, operano realtà che, in silenzio e con la proverbiale modestia dei marchigiani, lavorano da tempo con ottimi risultati nel campo della qualità del prodotto, dell’innovazione tecnologica, della ricerca scientifica e della formazione, per valorizzare tale tipica bevanda italiana. Bevanda che nell’arco di più di un secolo è diventata rito quotidiano per milioni di persone e ormai anche simbolo del costume italiano nel mondo. Se oggi l’espresso italiano è sempre più apprezzato all’estero lo si deve anche alle professionalità presenti sul nostro territorio. 

Camerino è impegnata in questo settore con la sua istituzione più importante, l’università. L’ateneo camerte, infatti, dal 2016 è parte scientifica e motore propulsivo di un centro internazionale di ricerca sul caffè (Research and Innovation Coffee Hub), nato in sinergia con la nota azienda produttrice di macchine per caffè di Belforte del Chienti. Il professor Flavio Corradini, che già da rettore di Unicam aveva gettato le basi per istituire il centro di ricerca sul caffè, di cui attualmente è direttore, ricorda che “il caffè espresso rappresenta una delle espressioni più rappresentative del patrimonio culturale italiano. Ovunque, nel mondo, l’Italia e il caffè espresso sono un binomio inscindibile, da tutelare! Caratterizza la nostra tradizione e la nostra vita. Non a caso lo troviamo trasversalmente su svariate altre forme d'arte italiana come il teatro o il cinema, ma anche soggetto di studi della ricerca scientifica d'avanguardia e riconosciuta valenza internazionale. E’ quindi un vero peccato che il consiglio direttivo della Commissione nazionale italiana per l’Unesco non lo abbia presentato tra le candidature italiane da proporre all’esame del Comitato intergovernativo per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale”.

La candidatura, auspicata da diverse associazioni italiane della filiera, sembrava essersi concretizzata alcuni mesi fa quando l’iniziativa del Consorzio di tutela del caffè espresso italiano tradizionale e del Gruppo italiano torrefattori caffè, aveva ottenuto il sostegno del competente ministero, ma nel marzo scorso il consiglio direttivo delle Commissione italiana per l’Unesco ha trovato sul proprio tavolo anche un secondo dossier, presentato dalla Regione Campania, riguardante la candidatura del “Caffè napoletano”. Tra le due proposte, diverse solo sotto l’aspetto culturale della tradizione, non certo del prodotto e della tecnica e dell’abilità del mestiere, la commissione non ha preso posizione. O meglio, ha deciso di rinviare entrambi i dossier al ministero, invitandolo a “promuovere contatti tra i proponenti per addivenire possibilmente ad una candidatura unica nel 2022”.

A parere di Stefano Severini, amministratore delegato di Romcaffè, storica azienda di torrefazione fondata a Macerata nel 1925 dal nonno, commendator Elio Romagnoli, si può parlare di “occasione persa in un anno come questo, in cui l’accoglimento della candidatura avrebbe potuto portare una ventata di fiducia per tutto il settore dei bar e della ristorazione fortemente colpito sul piano economico dagli effetti della pandemia da Covid-19. Il riconoscimento sarebbe stato sicuramente utile, sia a livello nostro interno per restituire forza a tutto il settore, sia a livello internazionale per dare ulteriore spinta all’immagine del made in Italy”.

Nando Ottavi, presidente di Simonelli Group, che dallo stabilimento di Belforte del Chienti esporta macchine per caffè di alta tecnologia in 124 paesi di tutto il mondo, si è dichiarato fiducioso che la rivalità possa essere superata per il 2022. “Che il caffè espresso rappresenti l’italianità è indiscutibile – ha dichiarato Ottavi – e, quale rappresentante di un’azienda che opera quotidianamente su tutte le latitudini, posso confermare che ciò ci viene già riconosciuto in tutto il mondo. Il lavoro svolto in tanti anni da tutta la filiera per migliorare la qualità, per innovare le tecnologie e per formare i baristi sta dando ottimi risultati, tanto che oggi il caffè espresso ha conquistato anche popoli e continenti, in particolare l’Asia, dove la bevanda principale è sempre stata il tè”.

Testimone del grande interesse che l’espresso italiano suscita all’estero è il tolentinate Dario Ciarlantini, da anni impegnato nel mondo del caffè, quale consulente e formatore di importanti aziende nazionali ed internazionali. I corsi di formazione che egli tiene in Italia e all’estero sono sempre più frequentati da baristi stranieri. Anche per lui il caffè espresso italiano è uno solo e comunque una differenza con il “caffè napoletano” la vede. “Quello ‘napoletano’ – sottolinea Ciarlantini – non è solo espresso, la cuccuma, la moka, 'U Cuppetiello, l'aroma che invade, fanno parte di quel rito tanto vantato e difeso che si differenzia di molto dall’Espresso al bar, al bancone, in piedi, che tutto il mondo ci attribuisce come unico e distintivo della nostra tradizione, anche se noi al bar continuiamo a chiedere ‘un caffè’ omettendo di specificare espresso”.

© Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca

(Articolo pubblicato dal settimanale ORIZZONTI delle MARCA n. 16 del 24 aprile 2021)

 

Commenti

Post più popolari