Ricostruzione post sisma, un “test” per la ripresa del Paese.



© Ci voleva un presidente del Consiglio dei ministri che parla correttamente quattro lingue, tra cui non a caso l’inglese, per dare un nome italiano al piano nazionale di riforme ed investimenti che il nostro paese, attraverso il sostegno dell’Unione europea, intende avviare e realizzare entro i prossimi cinque anni per risollevarsi dalla crisi economica e sanitaria. Il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” – così il presidente Draghi ha ripetutamente chiamato il “Recovery plan” durante i due giorni del dibattito parlamentare – appare quanto mai adatto, anche nel nome, a ciò di cui c’è bisogno in Italia e soprattutto nelle regioni colpite dal terremoto del 2016. 

Nei prossimi cinque anni nelle aree terremotate non si riuscirà a compensare tutto ciò che non è stato fatto finora, ma anche se a dieci anni dal terremoto la ricostruzione non sarà completa, già oggi c’è almeno la possibilità di sperare a poter per allora intravedere la “ripresa”. Per la “resilienza”, invece, le popolazioni colpite dal sisma hanno già dimostrato di averne abbastanza e c’è solo da sperare che la conservino.

Si può allora sperare che il Piano nazionale di ripresa e resilienza possa dare una “scossa” al torpore della ricostruzione post terremoto? La risposta non sta tanto nei miliardi di investimenti che dovranno essere messi in campo da nord a sud d’Italia per ammodernare il paese a livello di infrastrutture materiali ed immateriali, quanto piuttosto nell’auspicio che la “voglia di fare” e di fare velocemente, che sembra investire in questo momento le massime istituzioni statali, risulti davvero contagiosa anche ad ogni livello locale. Se il Paese riuscirà in poco tempo a mettere le ali, liberandosi dalle catene burocratiche cui negli anni si è continuamente legato, anche la ricostruzione nelle aree terremotate potrà spiccare il volo.

Camerino in tutto questo ha la possibilità di distinguersi e di diventare un punto di riferimento per tutta la vasta area interregionale interessata alla ricostruzione post sisma. In particolare l’università, che ha in mano una carta formidabile da poter giocare subito, per sé e per il territorio. L’attribuzione all’ateneo camerte della qualità di “soggetto attuatore” delle opere di ricostruzione per quanto riguarda le proprie strutture immobiliari (si veda Orizzonti del 17 aprile) rappresenta, infatti, una grande opportunità per curare definitivamente le ferite inferte dal terremoto alla comunità universitaria, ma anche per la città. I sette immobili interessati dal provvedimento di affidamento adottato dal commissario straordinario Legnini rappresentano, anche simbolicamente, veri punti vitali della città ed i relativi cantieri che si apriranno per gli interventi di recupero potranno costituire altrettante spinte ad accelerare gli interventi in tutto il centro storico di Camerino, per il quale è stato annunciato un analogo strumento attuativo.

Ricostruzione significa anche lavoro. È dimostrato che il settore delle costruzioni è un volano anche per altri comparti economici. Se agli interventi pubblici e privati del post sisma si aggiungono quelli del piano triennale delle opere pubbliche della regione annunciati giorni fa per il territorio maceratese (ricostruzione ospedale di Tolentino, poliambulatorio di Sarnano, casa di riposo di San Ginesio, interventi idraulici sui fiumi Chienti e Potenza e altre opere a Castelraimondo, San Severino e Cupi di Visso), nonché gli interventi programmati per il triennio in corso dalla Provincia (7 milioni di euro per edilizia scolastica e 11 milioni per ristrutturazione di ponti stradali) significa che il territorio provinciale è destinato a trasformarsi per anni in un grande cantiere, offrendo contemporaneamente lavoro a un notevole numero di imprese, con conseguente sviluppo per l’occupazione e l’economia. Senza dimenticare che anche l’ammodernamento della linea ferroviaria Orte-Falconara, con il raddoppio del tratto Foligno-Fabriano, inserito dal governo tra le sedici opere infrastrutturali strategiche nazionali, può concretamente contribuire a cambiare il volto economico del nostro entroterra.

Coloro che hanno responsabilità pubbliche dicono di volere tutto questo e i cittadini vorrebbero che effettivamente si realizzi. Ma ci si riuscirà? Da decenni le opere pubbliche scontano un labirinto di norme ed incroci di competenze, che di fatto ne ritardano l’esecuzione o addirittura le bloccano. L’incapacità degli enti pubblici di spendere per investimenti è diventata proverbiale. Nell’immediato secondo dopoguerra la macchina di ricostruzione si mosse spedita, dando al paese anni di rapido sviluppo. Poi tutto incominciò a rallentare. La produzione ininterrotta di leggi, e regolamenti, insieme all’istituzione di nuovi enti, alcuni controllori di altri, hanno reso la macchina pubblica un pachiderma incapace di muoversi con l’agilità necessaria. Da anni tutti sono coscienti della situazione, ma gli stessi provvedimenti di “semplificazione” che si susseguono, non fanno che creare nuova burocrazia. 

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza contiene anche un programma molto generale di riforma della pubblica amministrazione, destinata ad incidere direttamente su procedure di appalti ed investimenti. Si tratta di un tassello fondamentale nella costruzione di un paese moderno, senza il quale ogni sforzo per la ripresa rischia di risultare vano. 

Intanto tifiamo per Camerino e in particolare per la sua università, affinché possa dimostrare che, per superare gli ostacoli, a volte è sufficiente la forza della propria determinazione. 

© Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca


(Articolo pubblicato sul settimanale ORIZZONTI della MARCA n. 18 di sabato 8 maggio 2021)


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