Una nuova centralità per l'Appennino umbro-marchigiano.
© Non molti anni fa nella politica italiana andavano di moda due parole: “abolizione” e “fusione”. La prima era volta a gettare all’aria l’architettura amministrativa basata da oltre un secolo sulle province, la seconda ad incentivare l’accorpamento di molti piccoli comuni. Poi, con la bocciatura del referendum costituzionale, la conseguente caduta del governo che vedeva in quella strategia il rimedio a tutti i mali dell’Italia e il cambiamento dell’aria politica generale, si è incominciato a parlare d’altro. Terremoto e pandemia hanno definitivamente cambiato l’agenda delle priorità.
Il nuovo governo ha posto tra i suoi obiettivi anche una riforma della pubblica amministrazione. Essa, tuttavia, pone l’accento su semplificazione normativa, snellimento burocratico, oltre ad un più efficace reclutamento e una migliore formazione dei funzionari. Nulla che riguardi la struttura amministrativa dello Stato e le sue articolazioni sul territorio. Eppure ce ne sarebbe bisogno.
In più di una occasione su questo settimanale abbiamo sostenuto che le regioni, oltre ad assumere nel tempo funzioni che favoriscono “conflitti” con lo Stato, hanno fallito gli obiettivi che il parlamento si era prefisso nel dare attuazione al dettato costituzionale. Primo fra tutti il riequilibrio territoriale. Nelle Marche ciò è quanto mai evidente da decenni e il terremoto ha accentuato il danno socio-economico cresciuto nel tempo. Ormai il cuore economico della regione è tutto lungo la fascia costiera. L’entroterra appenninico è diventato una terra di confine, con un peso politico sempre più flebile, continuamente privato di servizi come conseguenza del calo dello spopolamento, senza comprendere che è proprio l’assenza di servizi a provocare la fuga degli abitanti. Le persone, d’altronde, vogliono giustamente vivere dove poter lavorare e il lavoro si crea dove si presentano le condizioni di sviluppo.
Lo scorso 10 marzo, nel TG1 delle ore 20 – l’edizione di massimo ascolto – al giornalista che lo intervistava in mezzo alla “zona rossa” del centro storico, il sindaco di Camerino, Sandro Sborgia, ha espresso la sua convinzione che tra dieci anni la città potrà tornare a mostrare il suo “volto originario”. Ce lo auguriamo tutti, ma intanto durante questi dieci anni cosa accadrà?
Il problema di Camerino è comune a tutta la vasta area terremotata, che si estende oltre i confini provinciali e regionali. La ricostruzione sarà comunque lunga e durante tutto questo tempo ci sarà bisogno, non solo che le comunità non lascino la loro terra, ma soprattutto che torni la voglia di abitare in questi paesi. La ricostruzione andrà quindi affiancata da una progettualità politica che guardi alle nuove generazioni con una prospettiva socio-economica di sviluppo. Per fare questo è necessario prima di tutto togliere all’entroterra appenninico quel marchio di “territorio marginale”. È necessario che tutta l’area interna diventi centrale, non solo nell’agenda politica – oggi, peraltro, destinata a mutare sempre più velocemente – ma centrale anche in senso reale, cioè geografico.
Tempo fa, parlando di investimenti infrastrutturali nazionali ed in particolare della linea ferroviaria Roma-Ancona, su questo giornale (Orizzonti della Marca n. 37 del 17 ottobre 2020) si auspicava il nascere di una sinergia tra Marche ed Umbria, capace di sviluppare il sistema della mobilità in tutte le sue specificità, da quelle stradali fino a quelle aree, con l’aeroporto di Assisi quanto mai “attrattivo” per alcune aree dell’Appennino centrale. In quell’articolo si sottolineava come le veloci vie di comunicazione siano capaci di far evolvere una geografia economica che tenda a superare i confini amministrativi.
La scorsa settimana gli assessori regionali alle infrastrutture di Marche ed Umbria si sono incontrati per la prima volta per coordinare interventi comuni finalizzati a sviluppare i collegamenti est-ovest tra le due regioni. Si tratta di un primo passo per rimuovere quella sorta di “barriera” tra le due regioni che l’Appennino ha fino ad oggi rappresentato e farne, invece, una cerniera tra due territori e due realtà che hanno in gran parte le stesse esigenze di sviluppo.
Le problematiche comuni (ora anche quelle legate al terremoto) e molti indicatori socio economici alquanto simili, fanno di Marche ed Umbria due regioni oggettivamente complementari, in grado di fare sistema sinergico e rappresentare insieme un territorio con maggiori potenzialità e quindi più competitivo con altre aree del paese.
La lotta al calo demografico, la diffusa imprenditorialità di piccola e media dimensione con punte, per entrambe, di vere eccellenze a livello nazionale ed internazionale, le molteplici tipicità, il patrimonio ambientale, artistico e culturale da sfruttare sul versante turistico, fanno di Marche e Umbria due possibili alleate per un programma di sviluppo e di “rinascita” territoriale in grado di porre l’Appennino al centro e non più ai margini.
© Alessandro Feliziani /Orizzonti della Marca
(Articolo pubblicato sul settimanale ORIZZONTI della MARCA n. 11 del 20 marzo 2011)
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