Quel laccio che da Bruxelles arriva fino a Serravalle.
© Il clamore suscitato dall’esito del referendum britannico sul cosiddetto “Brexit” ha consentito all’opinione pubblica di prendere maggiore coscienza su cosa sia oggi l’Unione europea e su cosa, invece, dovrebbe essere.
Si è detto che la maggioranza dei britannici – in particolare quella parte che vive nella vasta provincia inglese, poco in sintonia con la City londinese e con le quotidiane preoccupazioni finanziarie di Juncker e della Merkel – abbia votato con la “pancia” e non con la “testa”. Ma i cittadini, inglesi, italiani, francesi o austriaci che siano, non hanno forse motivo di preoccuparsi più dei loro servizi sanitari, della sicurezza, del lavoro (fattori che l’UE sembra aver messo in secondo piano) e meno dell’oscillazione della sterlina, dell’euro e dello “spread”, che i politici – specie in Italia – hanno usato nel recente passato come clava per combattersi tra loro, finendo per incancrenire una crisi economica della quale non si vede la fine?
Durante la recente assemblea di Confindustria Macerata, che ha insediato il nuovo presidente Gianluca Pesarini, tutti – a cominciare dal presidente nazionale Vincenzo Boccia – hanno sostenuto che la crescita e lo sviluppo non possono prescindere dall’economia reale, cioè da quel tessuto economico costituito dalle tante imprese che producono e scambiano beni e servizi. Non, quindi, da quella finanza che crea valori virtuali, in grado di volatilizzarsi da un giorno all’altro.
Che si parli di politica europea o di politica economica “nostrana”, c’è anche un terzo elemento che – oltre alla finanza creativa e alla distanza che separa le “preoccupazioni” dei governanti ai bisogni dei cittadini – accomuna il dibattito sovrannazionale e quello locale: la burocrazia. Un male, nell’Unione europea come in Italia, di cui tutti si lamentano, dall’utente che si rivolge a uno sportello pubblico, alle imprese che incontrano ostacoli con leggi e regolamenti spesso tra loro in contradizioni e perfino i burocrati che riversano le colpe sugli altri burocrati degli apparati a loro sovraordinati. Insomma, la burocrazia è un “filo” lungo il quale tutto scorre molto lentamente, troppo lentamente, e che unisce Bruxelles, Roma, Ancona e perfino Serravalle di Chienti.
Cosa mai – si domanderà il lettore – potrà unire la capitale europea al piccolo centro dell’Appennino? Ebbene, molti ricorderanno il “Patto territoriale” che doveva rimarginare le ferite provocate dal terremoto del 1997. Esso fu un’ottima intuizione dell’Amministrazione provinciale dell’epoca che – all’indomani di quel tragico settembre di diciannove anni fa – riuscì ad attivare le diverse opportunità di finanziamento offerte dai programmi europei, nazionali e regionali, coinvolgendo un ampio partenariato istituzionale. Destinatari del “Patto” erano le imprese che, stimolate dagli aiuti economici, avrebbero dovuto investire nella zona terremotata creando nuova occupazione, rianimando così un tessuto sociale già compromesso. Più di trecento imprese si presentarono all’appello, ma già la predisposizione dei bandi fu rallentata da leggi, regolamenti, cavilli, passaggi burocratici tra le Marche e Roma. E tutto sotto l’osservazione dell’Europa che – quando ogni cosa sembrava ormai a posto – “si accorse” che i finanziamenti superavano i limiti degli “aiuti di Stato” consentiti. Così l’intera trafila dovette essere ripetuta. Gli anni passarono e più della metà delle imprese “scapparono”, tanto che alla fine non tutti i finanziamenti concedibili trovarono imprese ancora interessate. Un gruppo industriale dorico aveva acquistato per 60 mila euro un lotto di terra a Serravalle di Chienti per costruirvi uno stabilimento che avrebbe dato occupazione a una ventina di persone. Dopo diverso tempo, stanca di attendere l’assegnazione dei finanziamenti e avendo nel frattempo cambiato le strategie produttive, l’azienda rinunciò al lotto di terra facendo così sfumare per Serravalle un’occasione economica ed occupazionale difficilmente ripetibile.
Oggi gran parte delle aree per attività produttive nei comuni dell’alta valle del Chienti sono “piccole cattedrali nel deserto”, con decine di aree inoccupate. La mancanza di una viabilità di collegamento, adeguata alle esigenze delle aziende, tiene bloccata da anni la domanda – ricorda l’ex sindaco di Serravalle, Venanzo Ronchetti – e la superstrada 77, che tra poche settimane sarà aperta al traffico, arriva con decenni di ritardo. In questo caso, anche per colpa di una politica spesso lenta ancor più della burocrazia. Se la superstrada Civitanova-Foligno fosse stata completata quando l’Europa unita si chiamava ancora Mec, ovvero Cee, oggi il nostro entroterra vivrebbe una storia diversa.
© Alessandro Feliziani /Orizzonti della Marca
(Articolo pubblicato sul settimanale ORIZZONTI della MARCA n. 27 del 9 luglio 2016)
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