Più che un “Piano Marshall” occorre recuperare capacità e fiducia.

Passo del Cornello, 3 settembre 1949


© Man mano che gli effetti diretti della pandemia provocata dal coronavirus sembrano attenuarsi, l’attenzione dell’opinione pubblica e della politica si sposta progressivamente sugli effetti indiretti di questa sciagura mondiale, ovvero sulle conseguenze economiche che per alcuni paesi si preannunciano particolarmente pesanti. Anche le pagine dei giornali invertono in parte la rotta. Con il diminuire delle cronache sui contagi e i decessi hanno assunto maggiore spazio le polemiche sulla riapertura delle attività, specie quelle legate alla stagione estiva. Già hanno fatto capolino, inoltre, articoli di fondo sulle prospettive economiche a medio e lungo termine. Ed è qui che – suggerito anche dalla concomitanza con il 75° anniversario della fine della seconda guerra mondiale – illustri commentatori, ma anche sociologi ed economisti, parlano della necessità di un nuovo “Piano Marshall”. Il riferimento, con le dovute proporzioni e con lo sguardo rivolto all’Unione europea, è a quel piano di aiuti ai paesi europei stremati dalla guerra che fu annunciato in un famoso discorso del segretario di Stato statunitense George Marshall il 5 giugno 1947 e che fu attuato a partire dall’anno successivo. Aiuti che l’allora governo italiano presieduto da Alcide De Gasperi non si lasciò sfuggire per poter innescare quella fase di ricostruzione post bellica cui per certi versi bisognerebbe guardare ancora oggi come esempio da seguire e che fu il trampolino di lancio per i successivi anni del cosiddetto “boom economico” italiano.

Ciò che oggi sconforta è la constatazione che con il tempo sembra si sia progressivamente persa quella capacità di discutere in modo costruttivo, di decidere, di legiferare e soprattutto “di fare” con rapidità ed efficienza che ha caratterizzato l’immediato dopoguerra e i successivi primi due decenni. 

Un quadro di paragone è il post terremoto 2016 e –rimanendo con lo sguardo sul nostro territorio – questo possibile raffronto non è l’unico. Per renderci conto della “perdita di capacità”, inefficienza e spreco di risorse del nostro paese, possiamo fare un concreto riferimento proprio ad un piccolo, ma significativo episodio di settant’anni fa e a cosa è accaduto successivamente nella vicenda della viabilità tra Marche ed Umbria sul versante della Valpotenza. 

Era il 1949, appena quattro anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Tra le province di Macerata e Perugia fu ricostruito e migliorato, con opportune varianti rispetto al tracciato già esistente, il lungo tratto di strada – per quei tempi la possiamo definire una sorta di piccola superstrada – che ancora oggi si percorre per attraversare l’Appennino tra Poggio Sorifa di Fiuminata e Casenuove di Nocera Umbra. Il 3 settembre di quell’anno, come ci dimostra la documentazione fotografica dell’epoca, migliaia di abitanti di quella zona salirono festanti al Passo del Cornello per l’inaugurazione dell’arteria, che avvenne alla presenza di Umberto Tupini, all’epoca ministro dei lavori pubblici del quinto Governo De Gasperi. 

Passato mezzo secolo da allora, constatata la sopraggiunta inadeguatezza di quel tratto di strada a causa delle mutate esigenze di traffico, la realizzazione del tanto auspicato traforo di passo Cornello è stata con fatica avviata. L’opera però non è stata mai completata. Appaltato nel 1995 dall’Anas, infatti, il traforo di quattro chilometri è stato definitivamente abbandonato dopo i primi settecento metri. Nei primi anni Duemila l’intero asse stradale è stato ceduto alle due Regioni che a loro volta hanno affidato i tratti dell’arteria di loro competenza alle due Province per poi riprendersele pochi anni fa e darli nuovamente in gestione all’Anas. Intanto quel troncone di traforo è ancora lì abbandonato. Basterebbe riflettere su questo ventennale burocratico “giro” di carte e di competenze, per comprendere come nel parlare di “nuovo Piano Marshall” bisognerebbe contestualmente riflettere su come il paese possa recuperare le capacità perdute e nel “post-coronavirus”, come nel “post-terremoto” e, come dopo ogni evento negativo, far ritornare i cittadini a guardare verso il futuro con ottimismo e con quel senso di fiducia che le fotografie del dopoguerra ci mostrano nella gente di allora. © Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca

(Articolo pubblicato il 30 maggio 2020 sul settimanale ORIZZONTI della MARCA)


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