Oggi siamo tutti uguali, ma domani?



© Per giorni e giorni, tramite radio, Tv e giornali, gli esperti virologi ci hanno detto che non si muore “di” coronavirus, semmai “con” il coronavirus, quale “agente disturbatore” di altre e più gravi malattie. Hanno voluto così rassicurare molte persone. Sicuramente chi è giovane e sano, ma la cosa non ha rincuorato molti anziani e malati. 

Ho ripensato a questo leggendo l’articolo di Renato Mattioni pubblicato la settimana scorsa su Orizzonti della Marca. Da acuto osservatore, Mattioni ha colto il parallelismo tra il “deserto metropolitano” della Milano colpita dal “coprifuoco” imposto dal Covid-19 e la terra marchigiana tramortita dal terremoto. Uguale sgomento, stessa precarietà, medesima rassegnazione tra la gente. Ma c’è una differenza che presto emergerà. 

Tra qualche settimana, massimo qualche mese, il coronavirus avrà finito di svolazzare come un fantasma e forse gli scienziati avranno trovato anche il vaccino per debellarlo. Milano e le altre grandi città del mondo, oggi con piazze, strade, locali e negozi semideserti, riprenderanno a vivere freneticamente, magari anche sotto la cappa di polveri sottili e smog. Nelle aree appenniniche terremotate, continuando a respirare l’aria pulita dei nostri monti, la gente tornerà a stringersi la mano e a salutarsi magari anche con un bacio, senza più il timore di infettarsi l’uno con l’altro, ma la situazione di precarietà e il senso di rassegnazione presenti da più di tre anni purtroppo rimarranno. 

Probabilmente scopriremo che il coronavirus non ha intaccato il ‘Dna’ della metropoli, con le sue infrastrutture materiali e immateriali, le sue molteplici potenzialità economiche, culturali, sociali. La frenetica vita cittadina, il business, lo sviluppo ricominceranno a girare a pieno ritmo, mentre nel cuore dell’Appennino, dove in generale da anni c’è un’economia fragile, sofferente per carenza di strutture e di risorse, tutto sarà più problematico. 

Il terremoto del 2016 è caduto come un rovinoso macigno, già difficile da rimuovere. E il coronavirus rischia di essere un “agente disturbatore” in grado di aggravare una situazione davvero delicata e in parte precaria, soprattutto dal punto di vista economico. Il settore manifatturiero e quello agroalimentare sono predominanti nel territorio e, salvo alcune eccellenze che possono contare su un ampio ventaglio di clientela e di mercati internazionali, la maggior parte delle attività produttive sono ingranaggi di filiere dominate da grandi gruppi, quando non addirittura unici fornitori di importanti marchi. La repentina contrazione dei consumi di questi giorni ha già comportato per molte aziende annullamento o blocco degli ordini e in alcuni casi la mancanza di commesse significa anche doversi fermare con la produzione. Resistere a lungo in una simile situazione – come osserva il direttore di Confindustria Macerata, Gianni Niccolò – può essere difficile, ma comunque possibile per chi ha una solidità organizzativa, economica e finanziaria. Può essere letale, invece, per molte piccole e micro imprese. E nell’entroterra, di queste, ce ne sono tante. © Alessandro Feliziani /Orizzonti della Marca

(Articolo pubblicato il 14 marzo 2020 sul n. 10 del settimanale ORIZZONTI della MARCA)

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