Giustizia nelle Marche nei primi anni del Regno d'Italia

Ercole Sori, “Italiani da fare. Giustizia e società nelle Marche, 1861-1873”, EUM, Macerata 2019, pp.332, euro 20.


© Femminicidi ed altre violenze commesse nei confronti della donna, spesso all’interno della coppia o comunque nell’ambito della famiglia non sono delitti solo del nostro tempo, come le cronache porterebbero a far credere. Anzi, nel solo distretto giudiziario di Ancona, nei primi tredici anni successivi all’unità d’Italia furono giudicati ben 33 casi di stupro e ben 89 delitti commessi all’interno dei legami di sangue o di convivenza, tra cui 29 omicidi.

Molti di questi casi giudiziari sono riportati in un volume di Ercole Sori, professore ordinario di storia economica, uscito lo scorso mese di dicembre per i tipi della casa editrice EUM di Macerata, quale quaderno monografico della rivista di studi storici “Proposte e ricerche”. 

Attraverso gli atti giudiziari, l’autore ha cercato di accendere una luce su chi fossero gli italiani “da fare” dopo che era stata fatta l’Italia. I delitti sono esaminati come segni distintivi “per mostrare da quale sostrato e in quali direzioni muove il mutamento sociale”. Rispolverando gli atti di tre istanze di giudizio (pretore, tribunale e corte d’assise) sono stati “censiti” 6.219 imputati, complessivamente giudicati dalla magistratura dorica in quei due lustri e mezzo. Ben 156 le figure di reato. Largamente in testa, per quanto riguarda il tribunale, la renitenza alla leva (683), seguita dal ferimento volontario (481) e dal furto qualificato (404). Davanti alla corte d’assise si registrano in quegli anni 282 casi di omicidio volontario, 95 di omicidio mancato, 71 di ferimento volontario e 70 di “grassazione a mano armata” (rapina). 

Nei primi anni del Regno d’Italia non mancano casi di corruzione, peculato, malversazione. I reati contro le persone sono comunque più numerosi di quelli contro il patrimonio e – scrive l’autore – “colpisce la frequenza degli stupri violenti”. Un capitolo del libro è riservato a faide familiari, liti tra vicini e alle “conseguenze dell’amore”.

Sono state prese in esame anche le figure professionali degli imputati. In media, ogni quattro, uno è contadino. Seguono: calzolai, muratori, braccianti, facchini, carrettieri, falegnami, osti e marinai. Non esiste negli atti giudiziari la qualifica di “disoccupato” e i pochi imputati ai margini del mondo del lavoro sono definiti “oziosi” o “vagabondi”. Emerge in quegli anni anche una “gioventù inquieta”, poiché il picco più alto degli imputati davanti alla corte d’assise (quindi esclusi i renitenti alla leva, giudicati esclusivamente dal tribunale) si colloca intorno ai 25 anni di età.  © Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca

(Articolo pubblicato sul settimanale ORIZZONTI della MARCA n. 7 del 22 febbraio 2020)


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