Appennino, “cerniera” di un'Italia in verticale.
© Abituati a definire geograficamente l’Italia in aree del nord, del centro e del sud, abbiamo finito per dividere il nostro paese in tre parti orizzontali, contribuendo a separarle sempre di più anche sotto l’aspetto politico, sociale ed economico. Un invito a superare questo stereotipo ci arriva da un libro, piccolo nel formato (praticamente un tascabile), ma ricco di spunti di dibattito e di verità storiche, antropologiche, naturalistiche, con il quale la Fondazione Appennino ha inaugurato una serie di testi in collaborazione con l’editore Donzelli.
A scrivere a quattro mani questo primo volumetto, che ha un significativo sottotitolo, “L’Italia in verticale tra identità e rappresentazioni”, sono due noti autori lucani, Raffaele Nigro e Giuseppe Lupo (il primo scrittore e giornalista, il secondo docente di letteratura alla Cattolica e romanziere) che guardano all’Appennino come punto di equilibrio e come cerniera tra una cultura tirrenica ed una cultura adriatica, ma anche “ascissa terrosa e floristica che lega l’Europa al Mediterraneo”.
Quale “spina dorsale” dell’Italia, l’Appennino è un crocevia di culture che – sottolineano gli autori – pur nella loro diversità sono accomunate da profonda identità, costituendo i tratti fondativi della “civiltà appenninica”, ricca di storia, letteratura, arte.
In un capitoletto, intitolato “La terra inquieta”, si ricorda come chi è nato lungo questo “serpentone di cime basse e rotonde, un filare di dialetti e campanili” sia abituato a convivere con la paura dei terremoti. “L’Appennino – si legge – è un nonno o un bisnonno dall’aspetto di un patriarca che dorme avvolto dal silenzio, ogni tanto si scuote, si volta sull’altro fianco nel letto, riprendendo il sonno. Però è anche un’arca di sogni e di desideri, un luogo di vigilie e di notti insonni, spese a progettare il futuro, a ipotizzare come sarà il domani”.
Lungo i milleduecento chilometri della dorsale appenninica la tanto invocata sostenibilità ambientale, economica e sociale non è mai venuta meno. La cultura del cibo, l’agricoltura di qualità, il corretto rapporto fra tradizione ed innovazione, tra l’uomo e la tecnologia, sono – come sottolinea la Fondazione che ha promosso il libro – le base per nuove sfide volte a fare dell’Appennino non più l’area marginale fino ad oggi considerata, ma una sorta di “laboratorio” per costruire il futuro del paese.
© Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca
(Articolo pubblicato sul settimanale ORIZZONTI della MARCA n. 9 del 6 marzo 2021)
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