16 marzo 1978, rapimento di Aldo Moro e strage di via Fani.


 


© Quel giovedì mattina di tanti anni fa uscii da casa già sapendo che sarebbe stata una giornata differente dalle solite, ma per un motivo diverso da quello per il quale la data del 16 marzo 1978 sarebbe poi entrata nella storia. Insieme ad altri colleghi, infatti, avrei dovuto passare l’intera giornata di lavoro a fare il trasloco dell’ufficio. E proprio mentre un’ora più tardi camminavo tenendo uno scatolone tra le braccia, appresi la notizia del sequestro di Aldo Moro e dell’uccisione della sua scorta. Ricordo che nell’inevitabile trambusto dovuto allo spostamento di armadi e scrivanie, un collega anziano gridò “fate silenzio!”, alzando poi il volume della piccola radio a transistor che teneva costantemente accesa sul proprio tavolo. Le operazioni di trasloco subirono una breve interruzione e ricordo che attorno a quella radio si formò un capannello di impiegati. Non ricordo i commenti, che sicuramente furono espressi, ma dopo molti anni, riflettendo sul rapimento e l’assassinio di Moro, mi sono più volte domandato come mai quel giorno e nelle settimane che seguirono non mi fossi pienamente reso conto dell’estrema gravità di quei fatti e del pericolo corso dalla democrazia e dalle istituzioni. Incoscienza giovanile?

Avevo allora 25 anni e la lunga scia di delitti che per tutti gli anni Settanta stava insanguinando l’Italia la vedevo come una degenerazione del «’68», movimento da cui non ero stato emotivamente attratto. Il sequestro e l’uccisione di Moro avvennero proprio a metà del periodo di massima tensione del terrorismo rosso-nero. In quegli anni furono colpiti a morte centinaia di poliziotti, carabinieri, magistrati, giornalisti, persino sindacalisti e tanti cittadini innocenti. Fu così che anche il rapimento e l’assassinio di Moro li vidi sul momento, e nei primi anni a seguire, come altri tragici episodi degli “anni di piombo”, forse solo più “incredibili” – fu questa l’espressione usata dal giornalista del GR2 nell’edizione straordinaria delle 9,25 di quella mattina – perché toccava direttamente uno statista. Una visione rivelatasi ben presto sbagliata, alla luce dei tanti misteri emersi in seguito sul reale svolgimento dei fatti e che regnano ancora oggi, dopo 40 anni. Sere fa in TV il giornalista Antonio Purgatori ha definito il “16 marzo 1978” come “il nostro 11 settembre”. Non so quanto possa essere valido tale accostamento, ma mentre sull’attentato alle “torri gemelle” si è saputo quasi tutto (e anche abbastanza subito), del rapimento, sequestro e assassinio di Aldo Moro rimangono soprattutto tante ombre. © Alessandro Feliziani

(Da un articolo pubblicato sul settimanale Orizzonti della Marca il 24 marzo 2018)


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