Pandemia e piccoli comuni, occasioni per riflettere sul passato.








© A quasi sette anni dalla sua prima messa in onda su Rai1, è stato riproposto sere fa su un’altra rete nazionale, TV2000, lo sceneggiato in due puntate “La forza di un sogno”, fedelmente ispirato alla vita e all’opera di Adriano Olivetti. 

Pur non avendo nulla a che fare con i temi che affliggono in questo momento il mondo intero, la storia di Olivetti e della sua azienda ci può far riflettere su cosa potrà accadere all’economia e alla vita di tutti una volta che sarà passata la pandemia causata dal Coronavirus. Il presidente del Consiglio, Conte, ha parlato di “sfida epocale” che ci attende e il presidente della Repubblica, Mattarella, ha rivolto un invito a “riscoprire la stessa unità del dopoguerra”. Di quel secondo dopoguerra quando prese forza la voglia di riscatto che riuscì a cambiare il volto dell’Italia, anche grazie a persone illuminate come Adriano Olivetti. Imprenditore ammirato da molti, ma purtroppo non imitato fino in fondo. 

Industriale tutt’altro che “visionario”, come all’epoca da molti ingiustamente definito, Olivetti metteva in primo piano la funzione sociale dell’imprenditore e - forse unico a farlo - l’importanza socio-culturale del territorio. Aveva compreso che si sarebbe potuti giungere ad uno sviluppo equilibrato portando il lavoro dove le persone vivono e non “sradicando” le risorse umane dal loro territorio e dalla loro comunità per farle “emigrare” nelle grandi città e nelle regioni già economicamente più forti. 

La prematura e improvvisa scomparsa – avvenuta nel 1960 – di Adriano Olivetti non trovò eredi altrettanto coraggiosi ed illuminati. Il “sistema economico” subentrato in quegli anni finì per vanificare quel grande patrimonio di idee, di creatività e di innovazione. Le iniziative e gli sforzi compiuti da Adriano Olivetti rimasero solo da esempio per altri, ma non furono colti. Ad ignorarli, purtroppo, è stata in tutta questi decenni la politica che, a partire dagli anni Sessanta, anziché frenare lo spopolamento delle zone più disagiate ha finito per assecondarlo. Prima la “fuga” delle persone, poi – con la scusante della scarsa popolazione rimasta –  la soppressione dei servizi. E, tra questi, oggi, il primo di fronte a tutti con grande evidenza, il servizio sanitario. La sanità pubblica, come vediamo in este settimane, si regge grazie allo spirito di abnegazione e alla professionalità di coloro che vi operano, ma la pianificazione e l’organizzazione del servizio dovranno essere ripensati.

C’è da augurarsi che la “sfida epocale” che ci attende sia anche l’occasione per riflettere sugli errori del passato e riorganizzare la società e la programmazione dei servizi – tra cui la scuola e i trasporti – secondo la logica che più di sessant’anni fa Olivetti aveva ben compreso. 

E poi basta nel continuare a considerare i piccoli comuni un “peso” per lo Stato. Le riforme dell’organizzazione amministrativa che si sono susseguite negli ultimi decenni (a partire dalla madre di tutte le “sciagure”: l’istituzione delle regioni) hanno penalizzato i comuni “minori” e con essi i servizi erogati.

Giorni fa, Franca Biglio, sindaco di un piccolo centro delle Langhe e presidente nazionale dell’A.N.P.C.I. – l’associazione nazionale piccoli comuni italiani, costituitasi nel 1998 per sostenere i comuni con meno di 5.000 abitanti, “virtuosi difensori del territorio e dell’ambiente” – ha scritto su un quotidiano economico nazionale che “c'è voluto il coronavirus” per riscoprire i piccoli centri, dove “la vita sociale procede con ritmi ordinari e vi si può apprezzare la semplice ed efficiente organizzazione, ma soprattutto la qualità della vita”. 

L’intervento del sindaco Biglio sulla stampa faceva riferimento alla corsa verso i piccoli borghi da parte di molti cittadini delle metropoli e dei grandi centri che hanno preferito “rifugiarsi” per la quarantena nelle seconde case o presso altri familiari nei paesi d’origine. 

I piccoli comuni, ha scritto Franca Biglio, sono “la risposta vera all'urbanesimo spinto che ha ammassato più del cinquanta per cento della popolazione nelle città, con costi in termini di inquinamento, congestione sociale, violenza”.

L’intera politica sociale e dei servizi degli ultimi decenni va ripensata anche alla luce di quanto stiamo vivendo e forse si potrà comprendere come i centri minori e intere aree dell’entroterra possano svolgere un ruolo di vera alternativa per favorire un equilibrato sviluppo economico e sociale ispirato essenzialmente alla qualità della vita. © Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca

(Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale Orizzonti della Marca n. 13 del 4 aprile 2020 con il titolo. "Ma i piccoli comuni non sono un peso per lo Stato")


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