Libero Bigiaretti, romanziere e giornalista, tra letteratura e cultura industriale.

Libero Bigiaretti (primo a sinistra) con l'editore Valentino Bompiani nel 1963 sulla piazza di Matelica e, nella foto a destra, con il Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi.


(dal settimanale Orizzonti della Marca n. 46 - 2020)

Alcune settimane fa nelle rubriche letterarie di diversi giornali è stata pubblicata la notizia dell’assegnazione del “Premio Alvaro - Bigiaretti” a Melania Mazzucco per il romanzo storico “L’Architettrice” (edizioni Einaudi) e Nicola Brunialti per il romanzo “Il paradiso alla fine del mondo” (Sperling & Kupfer). Il premio, organizzato dal comune di Valleriano e giunto alla sesta edizione, è annualmente dedicato alla memoria di due scrittori, il calabrese Corrado Alvaro (originario di San Luca) e il marchigiano Libero Bigiaretti (nato a Matelica nel 1905), entrambi sepolti nel cimitero del piccolo paese di duemila abitanti in provincia di Viterbo. Lì entrambi avevano vissuto, abitando, in tempi diversi, la stessa casa, che Libero Bigiaretti acquistò dopo la morte di Alvaro, avvenuta nel 1956.

La notizia del premio è l’occasione per ricordare lo scrittore di Matelica, che ha dato molto non solo alla letteratura del Novecento (22 tra romanzi e racconti, due testi teatrali, tre raccolte di poesie), ma anche alla cultura nell’eccezione più vasta (è stato critico e giornalista) e, in particolare, alla comunicazione d’impresa. Il nome di Libero Bigiaretti, infatti, è legato – almeno per un periodo della sua vita – a quello di Adriano Olivetti, che fece della omonima azienda di Ivrea una “comunità comunicante” aperta alle iniziative sociali e ad una continua “contaminazione di saperi”. Lo ha ricordato di recente anche il camerinese Gian Paolo Di Raimondo, il quale fu assunto alla Olivetti nel 1959, dove ebbe come direttore del personale lo scrittore urbinate Paolo Volponi. Nel suo recente libro, “Si misero sulle sue tracce” (recensito su questo settimanale nel numero del 26 settembre scorso), Di Raimondo, ricorda come la più famosa fabbrica di macchine per scrivere sia stata negli anni Cinquanta un “cenacolo di cultura”. Con gli ingegneri collaboravano poeti, scrittori, sociologi, architetti, economisti. Libero Bigiaretti, che da ragazzo aveva lasciato la sua Matelica, ebbe un ruolo di primo piano nella Olivetti del tempo. In una lunga “conversazione-autobiografia” raccolta nel 1989 dal giornalista anconetano Gilberto Severini e pubblicata in quell’anno da Transeuropa con il titolo “Con i tempi che corrono”, lo stesso Bigiaretti ricordava – a tratti con nostalgia – quella sua esperienza.  

La collaborazione dello scrittore di Matelica con Adriano Olivetti iniziò nel 1952. All’epoca aveva già pubblicato sette romanzi e lavorava come giornalista per la rivista “Lettere d’oggi”. Dopo cinque anni di saltuaria collaborazione, dal 1957 Bigiaretti si occupò a “tempo pieno” dell’ufficio stampa dell’azienda di Ivrea, diventata già una fabbrica modello, leader mondiale dei prodotti da ufficio, delle macchine da scrivere e da calcolo, nonché – in seguito – anticipatrice della rivoluzione informatica. Il compito di Bigiaretti all’interno della Olivetti era innanzitutto quello di fare una rivista di informazioni aziendali e riorganizzare l’ufficio stampa, che per anni era rimasto a livello embrionale. Nel dover collaborare con la sezione grafica e con la tipografia, coordinando anche il lavoro dell’ufficio cinematografico e del reparto fotografia, Bigiaretti si trovò a stretto contatto con diversi intellettuali ed artisti, coordinando anche la loro attività all’interno dell’azienda.

Dopo la morte improvvisa di Adriano Olivetti, avvenuta nel 1960, Bigiaretti rimase in azienda ancora tre anni, per poi tornare ad occuparsi completamente di letteratura nella sua casa romana, dove viveva con la moglie Matilde, giornalista di costume. Tra gli anni ’60 e ’70, scriverà sette romanzi (tra cui “La Controfigura”, Premio Viareggio 1968), tutti pubblicati dall’editore Valentino Bompiani, che nel 1963 fu anche ospite dello scrittore a Matelica.

Tra Bigiaretti e la sua città natale è sempre rimasto un profondo legame, durato tutta la vita dello scrittore, tanto che Matelica fu rappresentata in diversi racconti e romanzi. Dopo la morte di Bigiaretti, avvenuta a Roma il 3 maggio 1993, il docente universitario Alfredo Luzi ha raccolto in un volume (“Il mio paese”, Stamperia dell’Arancio, Grottammare 1995) diversi scritti inediti dell’autore matelicese dedicati a Matelica e alle Marche che – scrive Luzi nella introduzione – “sono la conferma di quanto ancora sentisse il legame di un cordone ombelicale, mai spezzato, da cui traeva alimento l’immagine della terra-madre come luogo dell’Eden perduto”.

Anche Matelica per diverso tempo non lo ha dimenticato, dedicandogli varie testimonianze, tra cui l’intitolazione della locale biblioteca comunale e l’istituzione nel 1998 del “Premio letterario Libero Bigiaretti”, a cadenza biennale. Purtroppo, dopo sei edizioni, della lodevole iniziativa da più di un decennio non si hanno più notizie. Nel 2010, anno in cui è stato ripubblicato in Italia il romanzo di esordio di Bigiaretti, “Esterina” (1942), la casa editrice Hacca di Matelica ha opportunamente riproposto in un agile volumetto (152 pagine, 12 euro) “Scritti e discorsi di cultura industriale”. Si tratta di testi in cui Libero Bigiaretti propone questioni inerenti il linguaggio delle immagini, della pubblicità, della funzione della comunicazione aziendale, di industrial design, di organizzazione del lavoro e del problema del tempo libero. Tutti argomenti legati alla sua esperienza negli anni trascorsi alla Olivetti dove la “fabbrica-comunità” veniva identificata come “un microcosmo ideale in cui ogni individuo, accanto al lavoro, trovasse anche delle chances di riscatto culturale e spirituale”. © Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca


(Articolo scritto per il settimanale Orizzonti della Marca e pubblicato sul n. 46 del 5 dicembre 2020 con il titolo "Libero Bigiaretti ricordato lontano dalla sua Matelica")

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