Una nuova agricoltura per la rinascita dell’entroterra.


Bologna, confezioni di “Pasta di Camerino” nella vetrina di un famoso negozio di tipicità gastronomiche emiliane

© Se a Bologna vai ad acquistare i tortellini freschi nel più antico e rinomato negozio della famosa tipicità bolognese, situato all’ombra delle “Due Torri”, per te che arrivi dalle vicinanze della marca camerte una piacevole sorpresa ti aspetta già prima di entrare. Basta dare un fugace sguardo alla vetrina su via Caprarie e non puoi che rimanere meravigliato nello scoprire che, tra le varie specialità all’uovo della gastronomia emiliana, ci sono in bella vista anche confezioni di “Pasta di Camerino”. Allo stupore del momento segue una naturale considerazione: la qualità non ha confini territoriali. La globalizzazione, che spesso ha fatto paura e continua a volte ad essere vista come fattore negativo per l’economia dei territori, può rappresentare – al contrario – propizie opportunità di sviluppo per chi produce e commercializza prodotti di alta qualità.

L’incontro bolognese con i prodotti dell’azienda camerte, che ha puntato tutto sulla qualità, grazie all’uso di grani esclusivamente italiani e la tracciabilità di tutti gli ingredienti, è tornato in mente a chi scrive assistendo a ridosso di Natale al confronto che si è svolto a Macerata tra il ministro per le politiche agricole, Maurizio Martina e Francesco Adornato, attuale rettore dell’università maceratese, uno dei massimi esperti di diritto agrario, già componente di diverse commissioni tecniche ministeriali durante i governi Ciampi e Prodi, nonché da molti anni direttore editoriale della rivista “Agricoltura Istituzioni Mercato”, edita da Franco Angeli. 

Sicurezza alimentare, tracciabilità dei prodotti, valorizzazione delle tipicità locali, ruolo dell’industria di trasformazione, sono stati alcuni dei temi sui quali si è articolato il confronto tra Martina ed Adornato che, prendendo le mosse dal recente libro scritto dal ministro - “Dalla terra all’Italia” (Mondadori) - ha posto in rilievo il ruolo dell’agricoltura oggi, sia a livello generale, sia nei diversi contesti territoriali. 

Benché nel corso di un secolo abbia progressivamente perduto – e in modo repentino negli ultimi decenni – il primato dell’occupazione, l’agricoltura non ha smarrito le sue potenzialità economiche, oggi valorizzabili attraverso quella crescente “multifunzionalità” che Martina individua nel connubio tra attività agricola vera e propria, alimentazione e ambiente.  Ma anche potenzialità sociali: si pensi alla salvaguardia del territorio e alla lotta ai cambiamenti climatici, la sostenibilità, la bioeconomia, fino ai nuovi spazi che si stanno aprendo nel campo dei servizi sociali.

Adornato ha parlato, per questo, di una “multidealità” dell’agricoltura da porre al centro di un’ampia visione progettuale con i valori e le peculiarità proprie del mondo agricolo, tanto da poter individuare nei nuovi parametri del fare agricoltura una sorta di “scuola di cittadinanza” e di elementi in grado di far superare l’antica dicotomia città/campagna. Per arrivare a ciò occorre partire proprio da quella agricoltura di qualità in grado di cementare nuove “alleanze” tra produttori e consumatori, di cui sono solo un esempio i sempre più numerosi “gruppi di acquisto solidali”. 

La situazione dei territori colpiti dal terremoto del 2016 è stata appena sfiorata nel dibattito, ma la ricchezza di contenuti emersi dal confronto non può che far sorgere considerazioni che meriterebbero di essere approfondite nel più vasto “dibattito” in corso sulla ricostruzione. In più occasioni e da più parti si è sostenuto, a ragione, che la rinascita dei territori terremotati non può prescindere dalla salvaguardia della comunità, ma quest’ultima per essere in grado di progredire non potrà fare a meno di uno sviluppo economico dei territori. 

In un’area vasta come quella dei Sibillini e dintorni, dove già prima del terremoto il patrimonio economico produttivo era in larga parte assorbito dal settore primario, quale altro comparto sarebbe potenzialmente in grado di offrire oggi opportunità di sviluppo a breve termine se non la stessa agricoltura? 

Il terremoto ha distrutto stalle, ma non il patrimonio zootecnico; ha reso inagibili magazzini ed altre strutture, ma non i terreni per le colture; ha danneggiato cantine, ma non i vigneti. Tutte quelle potenzialità fino ad oggi in parte inespresse sono quindi rimaste intatte. Soprattutto se si pensa a quell’agricoltura dai caratteri “multifunzionali” richiamata dal ministro Martina o a quella dalla rinnovata funzione, anche sociale, indicata da Adornato. 

I territori colpiti dal terremoto possono fare dell’agricoltura il motore della rinascita. La rinnovata attrattiva che le “3A” (agricoltura, agroalimentare, ambiente) stanno suscitando tra i giovani e – almeno secondo recenti statistiche – anche da una nuova imprenditorialità femminile – può contribuire ad innovare la gestione economica delle singole aziende agricole. Non occorre rinunciare alla caratteristica impresa familiare, la cui peculiarità presente nei nostri territori può essere trasformata in un punto di forza. Basta guardare ad altre regioni che hanno fatto della loro agricoltura un fattore di successo. Un esempio ancora scarsamente imitato sono i consorzi melicoli del Trentino Alto Adige. Essi sono costituiti da centinaia di piccoli e piccolissimi produttori che, alleandosi, sono diventati una potenza economica.

Le lenticchie, i salumi, i formaggi, i vini, gli olii e le tante tipicità agroalimentari dell’Appennino e delle colline marchigiane hanno le potenzialità per essere tutte insieme fattore di sviluppo perché tutte hanno in comune un elemento fondamentale per risultate vincenti in un mercato alimentare, anch’esso sempre più globalizzato: la qualità. 

(Articolo scritto per il settimanale Orizzonti della Marca, pubblicato sul n. 1 del 6 gennaio 2018)

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