Quando l'Italia rimase al buio.



© Quella mattina del 28 settembre del 2003 chi aveva programmato la radiosveglia non fu svegliato dal suo programma preferito e, una volta alzato, non poté fare una doccia calda, né radersi con il rasoio elettrico. Uscendo di casa si accorse che l’ascensore non funzionava e al bar dovette rinunciare al solito caffè espresso o al cappuccino. Ovunque non c’era corrente elettrica. Salito in macchina ed acceso l’autoradio scoprì l’arcano. Non era il quartiere ad essere in black out elettrico, ma l’Italia intera. 

Il fatto storico è noto a tutti, salvo forse ai bambini di allora. Alle ore 3,11 di quella notte, in Svizzera, appena fuori il confine italiano, un albero cadde su un traliccio della linea ad alta tensione. In quel momento, l'Italia stava importando dall'estero il 25% del carico elettrico totale, ma l’interruzione improvvisa di quella linea provocò a caduta, con il classico effetto domino, l’interruzione di tutti gli altri impianti collegati che, secondo dopo secondo, s’interruppero a loro volta, lasciando al buio progressivamente le varie aree geografiche. Alle 3,24 l'intero sistema elettrico italiano andò in black out, ad eccezione delle isole minori, dotate di sistemi elettrici autonomi, e della Sardegna, all'epoca dotata di rete autonoma. 

I primi ad accorgersi dell’accaduto, senza tuttavia sospettare della reale portata dell’evento, furono coloro che stavano viaggiando sui treni di notte a lunga percorrenza, quelli che stavano per imbarcarsi sui primi aeri del mattino, i giovani che – chiuse appena in tempo le discoteche – facevano ritorno a casa, i panettieri e i pasticcieri che si stavano alzando per andare al lavoro, gli edicolanti che ricevettero meno copie e meno edizioni dei quotidiani, coloro che avendo i serbatoi delle auto a secco non poterono rifornirsi di carburante. Il disagio complessivo fu molto attenuato dal fatto che l’incidente avvenne di domenica; se fosse accaduto in un giorno lavorativo, difficile sarebbe ancora oggi immaginarne le conseguenze. 

Coloro che ebbero subito la reale sensazione di “inspiegabile” eccezionalità dell’evento furono gli “uomini radar” delle sale di controllo nazionali dell’Enel che osservarono – impotenti – spegnersi tutte le centrali sotto i loro occhi. Per qualche minuto, fino alla scoperta della causa, ci fu in loro anche molto timore, in quanto il pensiero in ognuno corse comprensibilmente all’attentato di New York di appena due anni prima. 

Chi ha un ricordo ancora vivo di quel “giorno più lungo” della sua vita lavorativa, è una vecchia conoscenza di tutti i giornalisti maceratesi, il collega Giuseppe Ferrara, all’epoca responsabile dell’area comunicazione dell’Enel per le Marche e l’Umbria. 

“Alle 3.30 di quella notte – ricorda – fui svegliato dal suono del telefono cellulare che avevo appoggiato sul comodino. Mentre con una mano cercavo di afferrare il telefono, con l’altra tentai di accendere l’abat-jour. Mancava però elettricità e il mio diretto superiore, che mi stava chiamando dalla sede Enel di Roma, m’informò subito della situazione. Fu una situazione difficile da gestire anche a livello comunicativo, sia perché mancavano precedenti specifici, sia perché i mezzi strumentali che tutti usiamo (computer, fax, ecc.) hanno bisogno di energia elettrica. Fu quella – sottolinea Ferrara – una grande occasione di riscatto e di riscoperta della radio (autoradio e radio a batteria) che proprio grazie al black out si prese una bella rivincita sulla rivale TV. Anche i telefoni cellulari giocarono un grande ruolo per le comunicazioni, poiché gli impianti dei gestori telefonici possono funzionare per diverse ore con le grandi batterie tampone”.

A Macerata prima dell’alba scattò un Piano di protezione civile, secondo un protocollo di collaborazione tra Prefettura e Provincia che proprio alcune settimane prima era stato sottoscritto tra il prefetto, Piero Giulio Marcellino, e il presidente della Provincia, Sauro Pigliapoco. Appena scattata l'emergenza, in Prefettura fu allestita una sala operativa con l’allora vice prefetto vicario Paolo Orrei, gli altri due vice prefetti, Tiziana Tombesi e Sante Copponi, il dirigente del Genio civile, Guido Muzzi, gli ufficiali delle Forze dell'Ordine, dei Vigili del Fuoco, rappresentanti della Croce Rossa e del volontariato. Priorità negli interventi fu assicurata agli ospedali per garantire il funzionamento dei gruppi elettrogeni. La Provincia attrezzò un gruppo elettrogeno mobile per far fronte ad ogni emergenza nei vari Comuni, mentre l’acquedotto comunale di Macerata fu mantenuto in efficienza con il gruppo elettrogeno dei Vigili del fuoco. A Villa Potenza a subire le conseguenze della mancanza di energia elettrica fu la 59^ mostra - mercato degli uccelli e dei cani che si stava svolgendo al Centro Fiere. La manifestazione si svolse ugualmente, ma con un programma forzatamente ridotto.

“Non meno difficile da gestire – ricorda Giuseppe Ferrara – fu per l’Enel la fase di riaccensione dei grandi impianti, poiché essi stessi per funzionare necessitano di apparecchiature elettriche. Per questo furono d’insostituibile aiuto le piccole centrali idroelettriche costruite a cavallo della seconda Guerra mondiale e che nell’occasione ebbero il loro giusto scatto d’orgoglio di fronte ai mastodontici impianti termoelettrici. Nel territorio maceratese – continua Ferrara – una grande lavoro fu fatto dal personale addetto alle centrali di Valcimarra e Belforte del Chienti in quanto, pur non essendo esse in grado di garantire i servizi sul territorio, svolsero un ruolo di "modulazione" della tensione nella fase di riavvio delle grandi centrali e nella ridistribuzione dell'energia sulla rete”.

Tra le 15 e le 22, a macchia di leopardo, la corrente elettrica ritornò in tutto il Paese. A Macerata la luce si riaccese poco prima  della cinque di pomeriggio e già in serata su tutte le TV iniziarono i grandi dibattiti sull’accaduto, protrattisi per giorni e giorni. Più che delle cause, si parlò a lungo della dipendenza dell’Italia dall’energia prodotta all’estero e, inevitabilmente, si riaccese la polemica, mai spenta, su “nucleare sì, nucleare no”. L’accaduto offrì una spinta eccezionale ai fautori dell’energia eolica e del fotovoltaico. Soprattutto quest’ultimo che ha avuto un grande sviluppo proprio negli ultimi anni, sottraendo però anche terreni all’attività agricola.

Il black out totale del 28 settembre 2003 è comunque servito a farci capire come le nostre normali abitudini della vita moderna possono essere in qualche modo rimesse in discussione. Siamo stati e siamo sempre più dipendenti dall’elettricità e quindi dalle risorse energetiche.

(Questo articolo è stato già pubblicato il 28 settembre 2013 su CronacheMaceratesi.it)

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