Leggi "contra personam" ?



© Sempre più spesso il cinema e la fiction televisiva mettono al centro di film e sceneggiati i temi della giustizia o, meglio ancora, rendono protagonisti delle loro storie gli uomini di legge. A parte il genere poliziesco e il “giallo” da cassetta, anche la “letteratura colta” si è spesso occupata di giudici ed avvocati. Uno dei drammi più celebri e rappresentati di Ugo Betti è addirittura ambientato in un palazzo di giustizia e altri grandi scrittori italiani hanno denunciato alcune distorsioni nell’amministrazione del diritto attraverso personaggi immaginari, ma che spesso il lettore ha potuto immedesimare nella vita reale. Il manzoniano Azzeccagarbugli o il pirandelliano avvocato Zummo sono solo due esempi.

Nessun scrittore, almeno credo, si è mai occupato, in romanzi, drammi, commedie, di chi il diritto lo crea attraverso la formazione delle leggi. 

“Dura lex, sed lex” esprimeva l’esigenza morale degli antichi latini a rispettare la legge, anche se “dura”, quando il senso del dovere civico lo impone, in relazione alla riconosciuta necessità della legge stessa e all’autorevolezza di chi la imponeva. Poi è nato il detto popolare “Fatta la legge trovato l’inganno”, per denunciare come i più furbi riescano spesso ad aggirare le norme imposte e ad eludere il dovere di rispettarle.

Oggi la legiferazione sempre più caotica, aggrovigliata, tutt’altro che chiara nella formulazione e spesso decisamente astrusa, lascia a volte sospettare che “l’inganno” sia addirittura congenito nella legge stessa. Soprattutto quando si scoprono sempre più frequenti “cadute di stile” di alcuni tra coloro che la legge la promuovono o contribuiscono a farla approvare. 

A volte si ha l’impressione che alcune leggi (per incompetenza di chi le formula?) manchino di quella indispensabile generalità ed astrattezza di cui parlavano – almeno fino a quando erano adottati nelle scuole – i libri di educazione civica ed abbiano piuttosto il carattere della legge “ad personam” o “contra personam”.

Di questo ultimo genere il Consiglio regionale delle Marche ne ha dato un esempio il 30 giugno scorso nell’approvare una modifica alla legge elettorale. Al di là della indelicatezza istituzionale e politica di modificare le regole a poche settimane dall’avvio del procedimento elettorale che a metà settembre porterà al rinnovo dell’assemblea legislativa marchigiana e all’elezione del nuovo presidente della regione, l’ultima seduta consiliare di giugno ha segnato l’atto finale di una mezza dozzina di proposte di modifica alla legge elettorale regionale. Proposte presentate da svariati consiglieri e gruppi politici, tutte molto “ispirate” a contrastare o, al contrario, “assecondare” le tendenze che i sondaggi starebbero ipotizzando sul risultato finale delle prossime elezioni. Sta di fatto che queste proposte, godendo quasi tutte di scarso credito all’interno dello stesso Consiglio, si sono alla fine autoeliminate a vicenda, a colpi di veti incrociati. Eccetto una, forse la più bislacca  di tutte. Quella approvata a maggioranza, con la quale è stata introdotta l’incompatibilità alla contemporanea “candidabilità” a presidente e consigliere regionale.

Il dibattito, durato ore e trasmesso in streaming, ha mostrato chiaramente come la norma fosse volta ad impedire ad alcuni esponenti politici che già da mesi hanno pubblicamente annunciato la loro candidatura a presidente di regione – pur avendo sulla carta scarse probabilità di riuscire nell’intento – di entrare a far parte dell’assemblea come semplice consigliere, qualora eletto a tale carica in una delle circoscrizioni elettorali. L’art. 10 bis approvato a modifica della legge elettorale del 2004 recita infatti: “I candidati alla carica di presidente non possono essere presentati come candidati nelle liste provinciali”.

Una norma che, oltre a limitare il pieno diritto all’elettorato passivo, finisce per inficiare anche la volontà popolare. Infatti, con la norma introdotta, un candidato presidente che con la propria lista arrivi terzo o quarto, pur potendo partecipare con il proprio raggruppamento di candidati all’assegnazione dei seggi, non potrà far parte del nuovo Consiglio regionale e il seggio spettante alla sua lista sarebbe preso non dal suo “leader” (ovvero il candidato presidente), ma da un candidato dellelista che sicuramente avrà ottenuto un numero di preferenze inferiore alle sue. 

Una legge riconosciuta “antidemocratica” da molti degli stessi attuali consiglieri intervenuti nel dibattito, ma che ha poi ottenuto la maggioranza dei voti solo grazie ad una condizione sospensiva aggiunta all’ultimo momento. Ovvero la sua applicabilità a partire delle elezioni del 2025. Come dire: “non scontentiamo i proponenti, ma almeno salviamo la faccia, tanto ci sarà tutto il tempo per cambiare ancora”.

Se Luigi Pirandello avesse avuto la possibilità di assistere al dibattito che si è svolto nel Consiglio regionale delle Marche avrebbe certamente avuto ispirazione per una sua novella. Una possibile commedia per far ridere i cittadini sulla vacuità di certi politici. Anche Ugo Betti ne avrebbe potuto trarre un dramma per far riflettere su spirito di sottobosco, lotte intestine ed altre piccinerie oggi assai tipiche nell’azione politica di molti eletti. Pericolose miserie umane che finiscono per danneggiare le stesse istituzioni di cui fanno parte.

© Alessandro Feliziani / Orizzonti della Marca


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