Vernaccia: un nome, tre storie e un comune futuro?
La pergamena con la quale è stato suggellato il gemellaggio
Una grande enoteca è una sorta di carta geografica che non richiede di essere ricomposta come un puzzle. In qualsiasi parte dello scaffale una bottiglia di vino si trovi collocata, infatti, essa identifica sempre con precisione il territorio di provenienza. Lo scrittore Mario Soldati disse una volta che “il vino è la poesia della terra”. Sicuramente ne è la carta d’identità. Una carta d’identità che non ha scadenza e che racchiude secoli e secoli di storia, di lavoro, di saperi, di tradizioni. E siccome i vini non possono essere sradicati dalla rispettiva terra di produzione, ad incontrarsi per loro conto sono gli uomini che si adoperano per salvaguardarne l’identità.
Sta in questo il senso dell’iniziativa intrapresa dal presidente della Camera di commercio di Macerata, Giuliano Bianchi, il quale a venticinque anni dall’originaria sottoscrizione – allora avvenuta in terra senese – ha voluto “rinverdire” il patto di gemellaggio tra i tre vini “Vernaccia” italiani: la Vernaccia di Serrapetrona, la Vernaccia di San Gimignano e la Vernaccia di Oristano. Tre vini “unici” e molto diversi per caratteristiche enologiche, ma che in comune – oltre al nome (dal latino Vernaculum) – vantano una forte identificazione con il proprio territorio. Territori che s’immedesimano, appunto, con il rispettivo vino, come nel caso di Serrapetrona e San Gimignano. Oppure “fazzoletti” di terra nella provincia di Oristano dove il vino è anche testimonianza del tramandarsi di un antichissimo e particolare metodo di produzione.
Il gemellaggio tra le tre Vernacce è stato rinnovato con la firma di un’artistica pergamena realizzata dall'Antica Bottega Amanuense recanatese di Enrico Ragni, in arte Màlleus. A sottoscriverla, nello storico Palazzo della Fondazione Claudi, a Serrapetrona – presenti il sindaco Adriano Marucci, la coordinatrice del Consorzio di tutela, Franca Malavolta e il presidente della Ex.It, Luca Bartoli – sono stati i presidenti delle tre Camere di commercio provinciali, Giuliano Bianchi (Macerata), Massimo Guasconi (Siena) e Pietrino Scanu (Oristano). L’iniziativa, connotata da un rilevante valore culturale, rappresentato proprio dalle tradizioni e caratteristiche di produzione dei tre vini, ha anche un forte significato economico legato più al crescente fenomeno del turismo enologico che alla forza produttrice delle rispettive zone. Mentre il primo aspetto, infatti, presenta grandi potenzialità, meritando il supporto d’idonei strumenti di promozione turistica, la produzione vitivinicola delle tre Vernacce ha raggiunto da tempo il tetto massimo, oltre il quale si metterebbe a rischio la qualità.
I numeri sono diversi per le tre Vernacce. Quella di Serrapetorna (Vernaccia Docg), unico vino rosso spumante d’Italia, marcia su una media annua di circa trecentomila bottiglie, commercializzate da sei produttori per 66 ettari di superfice vitata. La Vernaccia (Doc) di Oristano può vantare quantità ancora più piccole, poiché l’area produttiva non supera i 40 ettari. Quantità molto superiori, invece per la Vernaccia di San Gimignano, che nel 1966 è stato il primo vino a potersi fregiare della Doc in Italia. I produttori riuniti in consorzio sono 82. La produzione, con il vitigno coltivato su circa 800 ettari (di cui 25% con metodo biologico), sfiora i cinque milioni di bottiglie annue.
Queste differenze fra i tre vitigni e i diversi metodi di produzione rendono le tre Vernacce complementari sulla tavola. Quella toscana è un vero e proprio vino bianco da pasto, asciutto, armonico e sapido. La Vernaccia di Serrapetrona, oggi prodotta anche come vino fermo (Doc), è diventata famosa come vino rosso spumante dolce. La Vernaccia di Oristano (coloro dorato ambrato) è soprattutto un eccellente vino da dessert la cui gradazione varia dai 15 agli oltre 18 gradi di un vero e proprio liquore.
Differenti caratteristiche produttive, organolettiche, gustative e sensoriali sono veri e propri punti di forza delle tre Vernacce italiane. La loro messa in rete, specie se finalizzata ad una strategia unica di promozione e valorizzazione, non farebbe che accrescerne il valore culturale, elevando turisticamente ed economicamente anche i rispettivi territori. Sarebbe questo il miglior frutto del gemellaggio e si eviterebbe che di esso rimanga solo un’artistica pergamena.
(Articolo pubblicato sul settimanale Orizzonti della Marca n. 15 del 28 dicembre 2013)
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